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Allarme Mediterraneo: il nostro mare è sempre più caldo

Quali sono le cause e le conseguenze del surriscaldamento del mar Mediterraneo?

Il clima del nostro Pianeta sta cambiando e sempre più spesso si assiste al verificarsi di fenomeni estremi e devastanti. Tale cambiamento sta influenzando inevitabilmente anche l’andamento del contenuto termico di oceani e mari. A partire dallo scorso maggio e durante l’intera stagione estiva 2022, le acque del mar Mediterraneo sono state investite da ondate di calore eccezionali che hanno provocato delle profonde anomalie termiche, con conseguenti effetti negativi sugli ecosistemi marini.

 

Un riscaldamento anomalo

Già a partire dagli anni ’80 le osservazioni sistematiche delle condizioni termiche dei mari italiani avevano evidenziato un aumento della temperatura media in superficie. Dal 1982 al 2001 la frequenza delle MHW (marine heat wavesondate di calore marine) è aumentata del 30% e la durata delle stesse si è fatta sempre più elevata. Queste ondate di “caldo marino” hanno avuto un impatto a livello globale sugli oceani, contribuendo ad accelerare lo scioglimento dei ghiacciai con un ritmo impressionante. Analizzando lo State of Global Climate 2021 pubblicato dalla World Meteorological  Organization, si può notare come la perdita di massa delle calotte glaciali sommata a una graduale acidificazione degli oceani (conseguenza di un massiccio assorbimento di CO2 di origine antropica) abbia condotto da un lato a un progressivo aumento del livello dei mari e, dall’altro. a un decremento del pH dell’acqua, compromettendo la capacità di assorbire l’anidride carbonica dell’atmosfera.

Questi effetti hanno travolto anche i bacini marini, come quello del Mediterraneo, il quale ha subito un continuo riscaldamento iniziato a partire dallo scorso maggio e tutt’ora in atto. Come tutti i mari, anch’esso svolge un’importante funzione di termoregolazione, ma con la carenza d’acqua dolce dovuta ai prolungati periodi di siccità e con l’aumento della temperatura media di quella marina, tale funzione potrebbe essere ben presto del tutto compromessa. Inoltre, sono risultati determinanti anche gli effetti di uno sviluppo insostenibile e di uno sfruttamento economico delle acque, messe a dura prova da attività antropiche distruttive quali traffico marittimo, eccessivo sviluppo costiero, pesca mal gestita e conseguente inquinamento e aumento dei gas serra.

Tutto questo non ha fatto altro che provocare ingenti danni al Mare Nostrum, le cui condizioni geomorfologiche hanno finito col favorire questo repentino cambiamento. Bisogna infatti considerare che il Mediterraneo è un bacino semi-chiuso e perciò molto più salato rispetto ad altri mari e maggiormente soggetto agli sbalzi termici. Lo scorso mese di ottobre è stato registrato un aumento medio di ben 5°C , con una temperatura di superficie che ha superato più volte i 27°C e le conseguenze, secondo quanto affermato dal Servizio di monitoraggio dell’ambiente marino di Copernicus,  potrebbero essere devastanti.

Mappa raffigurante l'aumento della temperatura media di superficie diffusa da ESA
Mappa raffigurante l’aumento della temperatura media di superficie diffusa da ESA

 

I rischi per la biodiversità

Il surriscaldamento delle aree marine aumenta anzitutto il rischio di fenomeni meteorologici estremi, tra cui trombe d’acqua, nubifragi e Medicanes, ovvero uragani marini. Quest’ultimo termine nasce dalla fusione delle parole Mediterranean e Hurricane ed è utilizzato per indicare un ciclone mediterraneo dalla struttura mista, un ibrido tra i comuni mulinelli marini (la forma a bacino del Mediterraneo favorisce di per sé il fenomeno della ciclogenesi) e tra i cicloni tropicali; un Medicane, infatti, è meno esteso rispetto a questi ultimi ed è in grado di svilupparsi in uno spazio più ridotto rispetto all’oceano, nonché limitato dalla terra ferma.

L’elevata temperatura del mare potrebbe, però, potenziare la portata di questi fenomeni, così come sarebbe in grado di determinare un incremento dei livelli di umidità dovuto all’influsso sempre più durevole degli anticicloni subtropicali sul nostro Paese. Queste mutate condizioni metereologiche potrebbero rafforzare l’energia dei cicloni mediterranei, aumentando il rischio di una frequenza più intensa di tali fenomeni.

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Inoltre, il surriscaldamento delle acque ha già condizionato notevolmente gli ecosistemi del Mediterraneo. Molte specie native stanno compiendo una migrazione verso le aree settentrionali, in quanto minacciate da un elevato stress fisiologico dovuto a un calo dei livelli di ossigeno presente nelle acque e all’affermarsi di altre specie aliene e invasive. Stiamo quindi assistendo a una tropicalizzazione del Mediterraneo, il quale detiene ormai il triste primato di “mare più invaso del mondo“. In questo “bacino tropicale” le popolazioni ittiche autoctone sono costrette a spostarsi in massa verso acque più fredde, disturbate da altri pesci di origine atlantica o provenienti dal Mar Rosso che stanno distruggendo il loro ambiente naturale.

Questi profondi squilibri nelle aree marine stanno avendo un impatto catastrofico sulla biodiversità, arrivando a colpire anche le barriere coralline e le foreste algali. Il Mediterraneo ha da sempre ospitato numerose praterie di Posidonia, una pianta acquatica di importanza fondamentale per l’ecosistema. Essa, infatti, non solo funge da habitat ideale per la maggior parte delle specie marine che popolano il nostro mare, ma costituisce un notevole deposito di carbonio in grado di catturare l’anidride carbonica.

La Posidonia rappresenta un indicatore biologico della salute del mare e  la diminuzione di queste foreste verdi dovuta allo stress termico sta provocando ingenti danni non solo a livello marino,  ma anche terrestre: le foglie che si staccano dalle piante e che, trasportate dalle onde, si depositano sulle spiagge, formano una barriera in grado di contrastare l’erosione costiera. Con il venir meno dell’importante azione ecologica svolta dalla Posidonia, aumenterà il fenomeno di desertificazione dei fondali marini, evento già in atto in numerose aree del mar Mediterraneo.

La Posidonia oceanica è un importante deposito blu di carbonio

 

Le strategie da mettere in atto

Il progetto CAREheat, finanziato dall’Agenzia Spaziale Europea (ESA) e realizzato in collaborazione con ENEA e CNR, è iniziato a marzo 2022 e i primi risultati ottenuti dai ricercatori hanno già evidenziato come durante la scorsa stagione primaverile e per buona parte di quella autunnale, la regione del Mediterraneo si sia rivelata una delle più colpite  dalle prolungate MHW. Tale area continuerà a surriscaldarsi ben oltre la media globale, con un conseguente aumento non solo del livello del mare, ma anche della siccità  che sta colpendo l’intera Penisola, a causa della diminuzione delle precipitazioni e dell’intensificazione dell’evapotraspirazione.

Per questo motivo è importante definire fin da subito le possibili soluzioni da adottare al fine di contrastare i cambiamenti climatici, attraverso la predisposizione di innovative strategie di adattamento. Tali strategie si basano sulla pianificazione di un adeguamento del nostro stile di vita ai parametri della sostenibilità e sulla realizzazione di comportamenti virtuosi che possano giovare agli ecosistemi marini, quali l’incremento di pratiche di pesca sostenibile, la realizzazione di ulteriori aree marine protette, la creazione di nuove norme in materia di gestione nazionale e transnazionale delle risorse pelagiche, e così via.

Mediante un potenziamento di queste attività, si potrà intraprendere un percorso di rafforzamento e di difesa della biodiversità marina, grazie anche all’utilizzo delle nature based solutions: soluzioni cosiddette “climatico-naturali” che sono in grado di sfruttare le capacità dell’ambiente per combattere il cambiamento climatico e per curare gli ecosistemi del Mediterraneo. Ad esempio, attraverso un ripristino funzionale delle barriere coralline, sarà possibile catturare il doppio della CO2 rispetto a quella assimilabile attraverso l’utilizzo di sistemi tecnici di carbon capture and storage.

Per implementare e mettere in pratica tutte queste tecniche di sviluppo sostenibile, è necessario ricorrere fin da subito a una pianificazione tempestiva ed efficacie capace di arginare l’emergere di rischi non eliminabili. È quindi fondamentale che, sulla base di questi principi, la protezione di mari e oceani diventi un punto essenziale delle agende politiche europee. La realizzazione di azioni di adattamento e di mitigazione a lungo termine e la rinnovata attenzione alla natura come elemento di risoluzione delle problematiche ambientali possono costituire la chiave di volta che ci consentirà di rispondere adeguatamente agli impatti del surriscaldamento marino. Non resta che confidare in una presa di posizione da parte del Governo e nell’adozione da parte dello stesso di azioni incisive e mirate alla realizzazione di progetti di mitigazione e adattamento. La conservazione e la tutela dei nostri spazi marini sono fondamentali per salvaguardare la salute del Pianeta.