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Anche nel peggiore dei casi andrà tutto bene

La crisi sanitaria causata dal COVID-19 ha gettato la nostra società nell'incertezza. Ma conoscere il caso peggiore può aiutarci a stare più tranquilli?

Nei momenti di incertezza, nei quali non conosco l’esito della situazione in cui mi trovo, mi piace pensare a come potrebbe andare nel peggiore caso possibile. Ma perché mai? Dal mio punto di vista non si tratta di pessimismo, ma di puro e crudo realismo. Che le cose possano andare male è una possibilità, quindi perché mantenerla un’incognita?

Trovo infatti che conoscere anche l’esito peggiore mi dia una certa tranquillità. Questo perché posso pensare ad un’altra soluzione e perché smetto di vivere nell’incertezza. Nessuno potrà mai dire di sapere al 100% dove gli eventi lo porteranno, però avere un’idea di quali possano essere le possibili direzioni è in grado di dare una certa stabilità.

Credo infatti che prima degli ultimi mesi la nostra generazione non abbia mai conosciuto eventi di così grande incertezza. Le nostre vite erano programmate da routine quotidiane di scuola e lavoro, uscite con gli amici, impegni sportivi e attività di svago. Ora invece cosa ci resta? Dobbiamo rimanere in casa, non sappiamo quando le nostre attività riprenderanno e se quando riprenderanno sarà tutto come prima. Si parla di ritorno alla normalità, ma siamo sicuri che se e quando questa pandemia sarà contenuta torneremo alle nostre vite prima del Coronavirus?

Adesso è il momento di pensare alla salute, di aiutare i malati e di cercare una cura, su questo non c’è dubbio. Ma una volta che tutto questo sarà finito in che stato sarà il nostro paese? In quale selva oscura si troverà l’economia italiana e quella mondiale? Molti privati hanno già chiuso, messo i dipendenti in cassa integrazione. C’è chi procede con lo smartworking, mentre le attività considerate non essenziali hanno in parte già fermato la produzione.

Ma quanto si potrà resistere? Quanto tempo ci vorrà prima che i portafogli degli italiani si svuotino? Torneremo fuori prima che ciò succeda? La Cina ha adottato misure ben più restrittive e controlli più serrati rispetto a ciò che fino ad ora è stato fatto dai paesi europei. Hanno impiegato ben sette settimane per ritornare alla “normalità” e la normalità a cui sono tornati è tuttora anormale.

Sono quindi fermamente convinta che finché non si troverà una cura o un vaccino per debellare questo virus, continueremo a vivere nell’incertezza. Continueremo a temere gli estranei, a disinfettarci le mani sedici volte al giorno, ad uscire con le mascherine. Continueremo ad avere paura, di prendere il virus, di trasmetterlo ai nostri cari. Continueremo a chiederci se si può sviluppare l’immunità o se c’è il rischio di una ricaduta. Insomma, continueremo a chiederci se e quando questa storia finirà, e come finirà.

Io sono dell’idea che non finirà. Infatti, come disse Lavoisier, in natura nulla si crea e nulla si distrugge, tutto si trasforma. In un modo o nell’altro sarà la fine di un’ordine e la nascita di un’altro. Nel corso dei secoli ci sono sempre stati eventi epocali che hanno cambiato la storia e forse siamo di nuovo giunti di fronte ad un punto di svolta.

Le Guerre Mondiali, la Crisi del ’29, la Guerra Fredda o la “fine” del Colonialismo sono solo alcuni esempi, esempi di eventi che hanno cambiato gli equilibri mondiali. La differenza tra loro e il COVID-19 è che esso non è un prodotto dell’uomo o della nostra società. Esso è un grosso imprevisto che rischia di far inciampare il nostro intero sistema economico, scombussolando tutti gli equilibri che tenevano in piedi la nostra società.

Che poi, parlare di “equilibrio” quando le risorse di una sola Terra non bastano a sostenere lo stile di vita di noi del primo mondo, mi sembra un po’ un azzardo. Ma non sono qui per parlare della situazione climatica ed ambientale, anche se una frecciatina mi sembrava più che doveroso lanciarla.

Il fatto è che non sappiamo come finirà. Domani potrebbe piovere una cura dal cielo oppure il virus potrebbe mutare diventando ancora più dannoso e sterminandoci tutti. Sono due opzioni estreme, forse improbabili, forse no. Quasi impossibili, ma pur sempre possibili.

Quindi ho elaborato un piano, una soluzione nel caso le cose si mettano parecchio male e collassi l’intero sistema capitalistico che fino a ieri mi ha sostenuto. Perché? Perché non amo vivere nell’incertezza, e sapere che anche nel peggiore dei casi potrei avere una chance di cavarmela, mi dà speranza.

Nel peggiore dei casi

L’Italia è un paese che dal punto di vista agricolo e della produzione alimentare può godere di una certa autonomia. Tuttavia, dal punto di vista energetico, petrolifero o di produzione di energia elettrica non è indipendente dagli altri paesi. Se verranno chiusi i confini e le merci smetteranno di circolare, l’Italia non venderà più nulla all’estero. La mancanza di vendite provocherà la mancanza di guadagni, fino a che non avremo tutti le tasche vuote e nessuno sarà più in grado di comprare niente. Situazione alquanto tragica e per adesso ancora molto lontana, ma se il flusso di guadagni si fermasse anche solo in una parte della catena di acquisto, prima o poi inizieranno a mancare i soldi da poter spendere.

Non sono un’esperta di marketing, ma non penso ci voglia una laurea in economia per decretare con certezza che spese enormi e zero guadagni risultano in una situazione di stallo.

Se infatti il mercato delle vendite si fermasse continueremo ad avere spese enormi per mantenere il nostro sistema, le nostre case, i trasporti, la macchina sanitaria e l’industria alimentare. Però nel sistema in cui viviamo chi non ha moneta non compra e chi non riceve compensi non produce. Infatti io, produttore, perché dovrei continuare a produrre se non vengo pagato? Produrre costa e se le vendite non mi permettono di coprire i costi di produzione e di avere un benché minimo profitto, allora è tutto a mio svantaggio. Se continuare ad offrire beni e servizi si trasformasse in una continua perdita d’esercizio senza utile, vorrebbe dire una sola cosa: la fine della nostra economia così come la conosciamo e la fine del potere di acquisto della nostra moneta.

A questo punto le soluzioni sono due: o qualche illuminato se ne uscirà con un’idea geniale per salvare l’economia italiana oppure si ritornerà al baratto. Si potrà sempre fuggire nelle campagne, coltivare il proprio pezzo di terra e scambiare i frutti dell’orto con le uova delle galline del vicino (sempre che il virus non ci faccia fuori tutti prima di raggiungere le campagne). I nostri avi hanno vissuto così per millenni, perché non potremmo sopravvivere anche noi così?

Quasi impossibile, dunque possibile

Queste sono ovviamente proposte estreme, così improbabili da essere quasi impossibili, ma quasi impossibili da rimanere tutto sommato possibili e pensabili. Non mi auguro che tutto ciò succeda, anzi, però, come dicevo prima, trovo conforto nel pensare a queste soluzioni assurde ed estreme perché sono comunque soluzioni e non incertezza. Sono la consapevolezza che comunque vada, un’alternativa c’è e ci sarà sempre. Non rimarremo tutta la nostra vita barricati in casa. Prima o poi torneremo fuori e quando lo faremo, se non un mondo diverso (o post-apocalittico) come quello che ho descritto, avremo sicuramente qualche consapevolezza in più.

La fortuna in cui fino a qualche settimana fa vivevamo non è infatti scontata. La libertà di poter uscire, di muoversi e di spostarci dove desideriamo non è scontata. La nostra salute, la salute delle perone che amiamo, non sono scontate. Persino avere un tetto stabile sotto al quale dormire la notte non è scontato. Basta pensare a ciò che è successo il 22 marzo a Zagabria: terremoto e virus, dover stare in casa per evitare il contagio, ma dover stare fuori casa per paura che crolli il soffitto della propria abitazione.

Sono giorni strani, di incertezza e di riflessione. Nessuno sa come finirà, ma c’è sempre una soluzione, anche nello scenario peggiore. Quindi sì, in un modo o nell’altro possiamo affermarlo: andrà tutto bene.