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Andrea Ferrari e la bottega Fuga di Sapori

La prima bottega in Italia all'interno di un edificio carcerario

Andrea Ferrari è il presidente dell’associazione Ises, impegnato in progetti di promozione sociale e culturale. Dal 2015 ha inizio il progetto Social Wood, che permette ai detenuti del carcere di Alessandria di trasformare la propria formazione nell’ambito della falegnameria, fornita dal carcere stesso, in uno sbocco professionale. Nel 2018 apre la Bottega Solidale.

Fuga di sapori è il culmine di una serie di progetti cominciati a partire dal 2015 in collaborazione con il carcere di Alessandria. Come siete arrivati all’idea della bottega?

L’idea della bottega è nata per caso, come tutte le cose belle: quando un giorno sono uscito dal carcere dopo una sessione di formazione, con la direttrice e la responsabile area trattamentale, sul muro di cinta ho visto questi due garage in disuso, e come battuta ho detto: “sarebbe bello aprire una bottega”. Da una battuta poi è nata una sfida: abbiamo dovuto coinvolgere molte istituzioni a livello regionale e nazionale tra cui le Belle Arti, essendo il carcere un ex convento, dunque un edificio tutelato. Nel 2018 nasce quindi la Bottega Solidale, uno spazio di 140 mq che abbiamo restaurato con la collaborazione dei detenuti, per il quale abbiamo utilizzato un nuovo impianto elettrico e materiali finanziati dalla nostra associazione. Qui abbiamo posizionato vari mobili creati con il progetto Social-Wood. Il locale era bello, ma ancora scarno, dati tutti questi scaffali vuoti. Così, contattando altre associazioni impegnate nella produzione di articoli artigianali, realizzati con l’impegno dei detenuti di altre carceri italiane, è nato il marchio Fuga di Sapori, per far conoscere il lavoro di altri centri di detenzione e raccogliere fondi per il progetto.

Cosa significa per voi aver aperto un negozio all’interno di un edificio carcerario? Si può definire un traguardo?

Il giorno dell’inaugurazione sicuramente lo è stato: c’era molto scetticismo sul fatto che la bottega potesse realmente aprire, quindi quando il giorno è arrivato, l’abbiamo accolto come un traguardo. Quotidianamente sta diventando una sfida: mantenere il centro aperto, farlo funzionare e tenere un flusso di clienti costante è una questione non da poco. Visto che ci piace reinventarci abbiamo aperto il locale a presentazioni di libri e degustazione dei prodotti. Al momento abbiamo anche in mente di ingrandirlo.

Interno della Bottega

Quali compiti svolgono i detenuti?

In questo momento di emergenza Covid purtroppo abbiamo dovuto chiudere la bottega. Ma quello che abbiamo cercato di fare nel tempo è stato organizzare un’attività interamente affidata ai carcerati, allestendo dei banchetti in città in cui gestire la promozione, la vendita e la cassa. L’obiettivo primario è la vicinanza con le altre persone. Nel giugno scorso, ad esempio, abbiamo organizzato la festa della Sbirra (un nostro prodotto) gestita dai detenuti. Così è stato possibile riavvicinarli a una condizione di libertà, annullando la percezione della differenza. È molto bello il rapporto che si crea con le persone che li conoscono, in una situazione di piena normalità.

Il vostro progetto si basa su un’economia circolare?

Per quanto riguarda il progetto Social-Wood sì. Recuperiamo materie di scarto: il legno, ad esempio, è, per quanto possibile, di recupero. Ovviamente per alcuni articoli come librerie altre 3 metri, è impossibile trovare materiali di scarto delle giuste dimensioni! Per i prodotti della bottega, invece, è possibile solo in alcuni casi, come ad esempio per le borse provenienti dal carcere di Vigevano. Chiaramente è esclusa la parte alimentare, che si propone di utilizzare ingredienti poco conosciuti e piccole produzioni, garantendo comunque un’elevata qualità. Tra i primi prodotti sono nate la Sbirra, una birra artigianale aromatizzata agli agrumi del carcere minorile di Siracusa, contenente le bucce non usate per canditi o dolci, e un’altra birra alla camomilla del carcere di Pozzuoli.

Come hanno reagito i detenuti a questo nuovo modo di interagire con il pubblico?

Per loro è sempre necessario un rapporto con l’esterno. Si aggrappano alla possibilità di ricevere visite dai familiari, ma, per il resto, vivono reclusi e quindi sospesi. Conoscere persone da fuori è molto importante. L’ho notato molto in questo periodo di epidemia, in cui, per sicurezza loro, è stato importante limitare i contatti con l’esterno ed evitare che il virus penetrasse nel carcere. Per svolgere mansioni legate alla falegnameria, ho avuto la possibilità di incontrarli e ho visto la loro voglia di vedermi: poter parlare con me e sapere che cosa stesse succedendo era fondamentale. Garantire un’esperienza sociale il più naturale possibile alle persone che se lo meritano e che hanno seguito un determinato percorso è indispensabile.

La parola chiave di questo progetto è “osmosi”, cioè la possibilità di comunicazione tra due realtà separate. Quali sono i messaggi che volete trasmettere all’una e all’altra realtà, ossia dentro e fuori dal carcere?

A chi sta fuori vogliamo dimostrare che c’è del buono dentro. Ai ragazzi detenuti vogliamo far capire che si sono ritrovati in un luogo in cui non sarebbero dovuti entrare. Ed è importante impegnarsi per non ritornarci. Tramite il lavoro ci si può riscattare e creare una vita normale. Il nostro impegno è quello di stimolare e costruire per loro delle possibilità.

Ad oggi, inoltre, abbiamo attivato la bottega online: www.fugadisapori.it dove, anche chi è lontano può contribuire ai progetti di economia carceraria avendo in cambio qualcosa di buono e di unico.