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Arabia Saudita, la culla del “Nuovo Rinascimento”

Uno sguardo veloce alla luce che emanano le sabbie del Golfo

Poco tempo fa le competenze di tutti i più esperti traduttori sono state messe a dura prova nel tentativo di decifrare le parole del nostro ex premier Matteo Renzi nel suo incontro con il principe dell’Arabia Saudita, Mohammed Bin Salman.

Due precisazioni. Renzi è salito su un volo in direzione Arabia Saudita in piena crisi di governo, crisi da lui stesso provocata. L’incontro a cui ha partecipato è stato organizzato dall’associazione FII (Future Investment Initiative), che retribuisce profumatamente i suoi partecipanti con una cospicua somma di 80.000 dollari l’anno.

Renzi, faccia a faccia con il principe, non si è contenuto dall’adornarlo della più smielata ammirazione per la sua devozione e duro lavoro nella gestione del suo Paese. La sua venerazione è stata un crescendo, sfociata nella constatazione secondo cui l’Araba Saudita sarebbe stato il luogo ideale per la nascita di quello che lui stesso ha definito un nuovo Rinascimento”.

Ora, con un esordio del genere è naturale sentire il desiderio di volerne sapere un po’ di più delle gesta di un governo così promettente.

Il caso Khashoggi e la libertà di espressione

A sinistra Jamal Khashoggi; a destra Mohammed Bin Salman

2 ottobre 2018, il giornalista saudita Jamal Khashoggi si reca con la sua fidanzata davanti alle porte del consolato saudita in Turchia per ritirare dei documenti che gli avrebbero permesso di sposarsi. Entra da solo, con la forte sensazione che probabilmente non sarebbe mai uscito. Così fu. Gli unici a uscire furono i suoi assassini, probabili delegati del governo saudita, e delle valigette che contenevano i pezzi del suo corpo squartato.

Cinque mesi dopo l’omicidio, Jeff Bezos, viene minacciato con delle foto compromettenti. Il servizio scottante sarebbe stato mandato a Bezos dal fratello della sua amante, che a sua volta minacciava di mandarlo alla rivista National Enquirer, il cui editore, David Pecker, è un carissimo amico dell’allora presidente americano Donald Trump. Il fondatore di Amazon, non accettando di piegarsi a nessuna minaccia di questo tipo, decide di ingoiare l’imbarazzo e pubblicare autonomamente il contenuto. Un autogol? Non proprio, in questo modo ha tolto ai suoi avversari l’unica palla che avevano per batterlo.

Ora, colleghiamo le due storie. Jamal Khashoggi, auto esiliatosi dall’Arabia Saudita dov’era nato, si trasferisce in America, dove inizia a scrivere per il Washington Post, il giornale di proprietà di Jeff Bezos. Lì, lontano dal suo paese d’origine da cui era stato censurato, scrive diversi articoli estremamente duri nei confronti del principe saudita, Mohammed Bin Salman. Critica soprattutto l’ipocrisia del sovrano: il nuovo principe ereditario si sarebbe presentato come l’architetto della transizione del Paese da monarchia teocratica intransigente a liberale e aperta. Come presto vedremo, la verità sarà un po’ diversa da quella che propagandava.

La penna di Jamal divenne così una vera minaccia per un principe che di libertà d’opinione non voleva, e non vuole, neanche sentir parlare. Ma come agire? Un agguato a casa dell’amico Trump sarebbe stato troppo azzardato, non per Trump ma per l’opinione pubblica. Bisognava aspettare che si verificassero le condizioni giuste, che non tardarono ad arrivare. Quando per questioni personali Khashoggi fu costretto a entrare nell’ambasciata saudita in Turchia, entrò nella trappola senza farsi pregare.

Conclusione?

Quindi, da una parte del tavolo abbiamo Trump, Bin Salman e David Pecker, tutti e tre legati indirettamente o direttamente da una forte amicizia. I primi due, in particolare, sono uniti da un legame che in tre anni (dal 2017 al 2020) ha prodotto 50 miliardi in vendita di armi e 100 miliardi in investimenti in cantieri statunitensi al Paese Saudita. Il primo e il terzo, invece, hanno coltivato un’amicizia più umile, ma non per questo meno devota, passata per il grande aiuto che Pecker ha prestato a Trump nella sua campagna elettorale.

Dall’altra abbiamo Jeff Bezos, Jamal Khashoggi e il Washington post. Trump, come si potrebbe evincere dai suoi tweet se il suo profilo non fosse stato censurato, non ha mai nascosto la sua profonda e personale antipatia per il fondatore di Amazon e per il suo giornale, di cui Khashoggi era collaboratore. Poi, come abbiamo intuito, per il principe Saudita Khashoggi, con le sue parole vere e coraggiose, rappresentava un problema di non poco conto per la sua immagine pubblica. Se in ogni amicizia che si rispetti vale il detto “i tuoi nemici sono anche i miei”, possiamo dire senza troppe esitazioni che il giornalista non era una presenza gradita neanche al presidente americano.

Pochi giorni fa, il 26 febbraio, è arrivata la notizia di un recente rapporto della CIA che individua, con prove definitive nel principe saudita Bin Salman, il mandante degli assassini di Khashoggi. La notizia non ha fatto altro che accertare un già forte sospetto.

Una faccenda complicata e per molti versi controversa che dovrebbe darci una prima idea della luce che emana la culla del “nuovo Rinascimento”.

Possiamo anche continuare a dar manforte alle parole di Renzi.

Il rispetto dei diritti di tutti…

Il principe saudita aveva detto di voler migliorare le relazioni del paese con il rispetto dei diritti umani. Nel 2015 la potenza del Golfo dichiara guerra allo Yemen, uno dei paesi economicamente e socialmente più poveri del Medio Oriente e del mondo, facendolo precipitare in una delle peggiori crisi umanitarie del secolo (guerra in cui noi italiani non ci siamo ben guardati dal finanziare e sostenere militarmente autorizzando tra il 2015 e il 2019 l’export di armi all’Arabia Saudita e agli Emirati Arabi Uniti dal valore complessivo di 1,5 miliardi di euro; armi che sono state utilizzate dal Paese saudita anche nella guerra in Libia, dove, bel paradosso, l’Italia combatte nella fazione opposta). Ad oggi le relazioni tra Italia e Arabia Saudita continuano a gonfie vele con trenta aziende italiane operanti sul territorio saudita, che contribuiscono all’implementazione dei progetti promossi dalla Saudi Vision 2030.

Aveva detto di voler concedere finalmente più spazio alla libertà di parola e d’opinione. Recentemente è stata ritirata una sentenza che condannava alla pena di morte Ali al-Nimr, un ragazzo di 17 anni che ora, dopo 10 anni di prigione, ne ha 27, per aver partecipato a una manifestazione contro il governo.

Aveva detto di voler allentare la morsa che lega le donne saudite a una condizione di totale subordinazione e privazione dei diritti, concedendo loro il diritto alla guida. È da poco uscita di prigione, dopo tre anni di reclusione, Loujain al-Hathloul, un’attivista per i diritti delle donne, condannata per essere entrata nei confini del Paese alla guida di una macchina.

Tuttavia, il numero di condanne a morte, come conferma Amnesty International, rimane altissimo, così come le decapitazioni pubbliche, le condanne alla flagellazione e le amputazioni come pena per diversi crimini. Le donne vengono sistematicamente perseguitate, arrestate e torturate per aver difeso i propri diritti.

…le basi per un nuovo Rinascimento

Ecco il “nuovo Rinascimento”, il luogo dove viene tranciato alla radice il fiorire di qualsiasi istanza di opposizione a una realtà che preme per rimanere l’unica contemplata. Chi chiede libertà e uguaglianza viene, nel migliore dei casi, incarcerato, nel peggiore, torturato e ucciso. Però in tutto questo, va detto, stanno facendo un ottimo lavoro con le rinnovabili.