A fine novembre è uscita sulla piattaforma Netflix, la mini serie tv dal nome Baby. Si tratta di una serie italiana originale Netflix, composta da 6 puntate, in aggiunta alle quali è stata da poco annunciata una prossima seconda stagione.
La serie è ispirata a un fatto di cronaca italiana del 2013: lo scandalo che ha coinvolto due ragazze minorenni residenti nei Parioli, uno dei quartieri più facoltosi e benestanti di Roma, in un giro di prostituzione e spaccio di droga istigato dalla madre di una delle stesse ragazze. Vicenda che rimane solamente da richiamo della serie tv. Questa si sviluppa infatti in maniera apertamente diversa ed autonoma.
Autore della sceneggiatura è il collettivo Grams, un gruppo di autori e storytellers giovanissimi. Tra loro figura il nome di Giacomo Mazzariol, autore di alcuni romanzi molto apprezzati negli ultimi tempi. Lo stile pubblicitario e il tema complesso e delicato, facevano presagire come destinatario di riferimento della serie, un pubblico adulto. Invece il taglio, dallo stile di scrittura a quello registico, è adolescenziale. Una delle maggiori conseguenze che questa scelta stilistica ha generato è il ridurre ad argomento marginale la prostituzione minorile e i temi ad essa collegati, come il revenge porn (la diffusione di materiale pornografico personale a scopo di vendetta, tema vicino alle nuove generazioni che emerge nelle prime puntate ma poi non viene approfondito), a vantaggio di una serie di sottotrame e storie secondarie che tengono in piedi l’intera struttura.
L’occasione di affrontare un tema complesso e delicato rimane sacrificata in virtù di intrecci amorosi e rapporti di amicizia adolescenziale. Si adatta la vicenda all’ambiente in cui realmente nasce e si sviluppa: il mondo degli adolescenti. E a essi si rivolge. Scegliendo un pubblico così giovane come destinatario, sorge istintiva la volontà di preservarlo dalla verità. Si cerca così di addolcire la pillola, di renderla meno difficile da ingerire, arrivando a produrre una storia di prostituzione minorile dal taglio disneyano.
Certe questioni non possono però essere filtrate. Le si snatura, le si trasforma e le si inverte. Disinnescare il pericolo di fronte a tali situazioni significa rendere ancora più vulnerabile chi si approccia a esse, piuttosto che costruire per loro anticorpi e immunità. Il rischio è lanciare un messaggio opposto a quello dovuto. Si parte dalla rappresentazione sbagliata di un personaggio in una serie televisiva e si finisce col credere che i carnefici siano dolci vittime e viceversa. E “Baby” commette un grave errore nel dipingere i papponi responsabili di un giro di prostituzione, i clienti di servizi di questo tipo come personaggi simpatici e inoffensivi, come uomini affascinanti. Azzerando il senso di disagio che chiunque proverebbe trovandosi realmente in una di quelle situazioni si annacqua la realtà, facendo credere che in certe cose si possa nuotare con destrezza mentre esse sono un vortice nel quale si affoga.
Per quanto riguarda i punti di forza della serie, lo sono sicuramente le scelte registiche ben realizzate che la assimilano ad alcune produzioni internazionali e la scelta degli attori. Due di loro in particolare spiccano per capacità d’interpretazione, riuscendo ad andare oltre la scrittura dei personaggi, ne creano una caratterizzazione ben riuscita. Alice Pagani, nei panni di Ludovica, dona al suo soggetto caratteristiche intense ed audaci. E Paolo Calabresi nel ruolo di Saverio, riesce a comunicare un vero senso di disagio e criticità nei confronti del suo ruolo.
Nel complesso la serie lascia molto spazio al non detto lungo il corso di tutte le sei puntate. Non sono sempre chiare le reali motivazioni che determinano le azioni dei protagonisti, e i dubbi e le incomprensioni che lasciano riguardo i loro comportamenti sono molte. Anche i disagi che accompagnano il percorso dei personaggi spesso non si manifestano nella loro interezza, ma rimangono solo accennati. Si ripongono le speranze in una seconda stagione di “Baby” che riesca a crescere insieme al suo pubblico in un approccio più crudo e meno edulcorato.