Quante volte ci siamo sentiti inorriditi difronte a un’efferatezza nei confronti di una persona? Quante volte abbiamo cercato di comprenderne il motivo? E quante volte abbiamo detto o abbiamo sentito dire: “com’è possibile vivere per anni in una relazione tossica”?
Ecco, la relazione tossica, ovvero un rapporto tra due persone in cui uno dei due attua la violenza fisica o psicologica nei confronti dell’altro. Come viene dipinta dai mass media? Di solito come relazione eterosessuale in cui l’uomo esercita violenza sulla donna. Eppure ci sono altrettanti casi che nessuno prende mai in esame: la violenza esercitata in una relazione tossica tra due persone dello stesso sesso.
Carmen Maria Machado, scrittrice statunitense di origine cubana, ci trasporta in un memoir autobiografico in cui tocca diverse tematiche legate proprio a questo argomento.
L’autrice è nota per l’attenzione posta alle vicende della comunità queer e per farne parte lei stessa.
Il suo l’ultimo libro, In the dream house (uscito in Italia con il titolo Nella casa dei tuoi sogni ed edito Codice Edizioni), è un viaggio fisico e psicologico verso la consapevolezza di trovarsi in una relazione tossica quando ormai essa ha prosciugato le energie necessarie per uscirne.
Sei ne hai bisogno, questo libro è per te
La dedica del libro è collegata con quanto scritto al suo interno, tanto da unirsi indissolubilmente in una sorta di cerchio che spiega anche la motivazione del titolo: la casa dei tuoi sogni come un posto ideale, ovvero la visione idealistica che abbiamo di una relazione tra due donne.
La Machado intreccia diversi generi letterari dimostrandosi detentrice di una vasta cultura che spazia dal cinema alla letteratura, dai cartoni alle fiabe. Tutto in funzione di uno scopo ben più grande: rompere il silenzio dell’archivio.
Che cos’è il silenzio dell’archivio?
Il silenzio dell’archivio è quella condizione in cui determinati eventi non vengono riportati e ricordati dalla memoria collettiva. È la volontà di non ricordare un fatto o per negligenza o per ignoranza (come insegna Marc Bloch).
“L’abuso sulle donne esiste sicuramente da quando gli essere umani sono stati capaci di manipolazione psicologica e violenza interpersonale, ma come concetto dal significato condiviso l’abuso – e la donna- non sono esistiti fino a circa cinquant’anni fa. Il discorso sull’abuso domestico all’interno delle comunità queer è perfino più recente, e perfino più in ombra. Se consideriamo le forme che la violenza intima assume oggi, ogni nuovo concetto -la vittima uomo, il carnefice donna, i queer abusanti e i queer abusati- si rivela come l’ennesimo fantasma, che c’è sempre stato, a infestare la casa di chi regna.”
La volontà della Machado è, dunque, rendere coscienti le persone che l’abuso domestico tra partner che condividono un’identità di genere è possibile e non insolito. Come farlo? Attraverso il memoir, ovvero, come scrive l’autrice, un atto di resurrezione con cui si ri-crea il passato evocando un significato da eventi che per lungo tempo sono rimasti dormienti. Chi scrive un memoir resuscita i morti.
Inoltre, sopperisce alla mancanza dell’archivio attraverso un’ingente bibliografia che riporta eventi, situazioni, autori e autrici trattanti l’argomento.
Da cosa deriva questo silenzio?
È difficile trovare le cause di tale silenzio. Sicuramente il primo sguardo è rivolto a una società che vede nel diverso qualcosa di minaccioso, reo di non essere ancora stato normalizzato. A questo si aggiunge il sistema patriarcale e maschilista, che vede nelle relazioni omosessuali qualcosa da cui distanziarsi ed etichettare come erronee, in funzione di un’eterosessualità condita alla misoginia.
È per questo motivo che le relazioni tra due donne vengono idealizzate e rese incapaci di essere tossiche. Molto spesso si assiste all’erotizzazione del corpo femminile e, in alcune pellicole cinematografiche portanti questo tema sul grande schermo, alla rappresentazione della relazione come fantasia maschile.
Una lezione di vita: Barbablù
Riprendendo le fila del discorso, la Machado, attraverso uno dei capitoli a mio avviso più geniali di tutto il libro, tenta di ricostruire il percorso che conduce alla consapevolezza di trovarsi in una relazione tossica.
Attraverso la fiaba di Barbablù fa capire quanto sia sottile l’inizio di una relazione di questo tipo. La bugia più grande di Barbablù -scrive l’autrice- era che c’era solo una regola: l’ultima moglie poteva fare tutto quello che voleva purché non facesse quella (unica, arbitraria) cosa: che non infilasse quella minuscola insignificante chiave in quella piccola insignificante serratura. Tutto ciò non era altro che l’inizio; infatti, anche se lo avesse ascoltato ci sarebbe stata un’altra richiesta, un po’ più grande e un po’ più strana. Poiché non aveva opposto resistenza per la chiave e per la condizione, non aveva detto nulla neanche agli insulti e alla violenza fisica. E così via fino a trovarsi in un circolo senza fine.
Un prologo senza prologo
L’autrice usa abilmente un’espediente narrativo, ovvero nega di usare, in questo caso, un prologo e poi lo usa nella pagina successiva. Qui ci troviamo difronte a due strade: da una parte potrebbe esserci una sorta di preterizione, dall’altra un modo per porsi come autrice inaffidabile e allo stesso tempo sincera con il lettore.
Queste sono soltanto alcune delle riflessioni che emergono leggendo questo libro.
Insomma, un romanzo e un’autrice da scoprire pagina dopo pagina.