Circeo è una serie tv andata in onda su Paramount+ e prodotta in collaborazione con Rai Fiction, che racconta la storia del processo per il Massacro del Circeo. Alla regia c’è Andrea Molaioli, la sceneggiatura è di Flaminia Gressi e nel ruolo di co-produttrice delegata c’è Chiara Sfregola, la scrittrice di “Camera Single” e “Signorina. Memorie di una ragazza sposata”.
Autunno 1975
Il massacro del Circeo avvenne nell’autunno del 1975, quando Donatella Colasanti e Rosaria Lopez, rispettivamente 17 e 19 anni, vennero sequestrate, torturate, violentate e stuprate (fino a provocare la morte di Rosaria Lopez) da Gianni Guido, Angelo Izzo e Andrea Ghira in una villa al Circeo, in provincia di Latina. I tre misero nel bagaglio dell’auto, una fiat 127 bianca, i due corpi credendo che anche Donatella fosse morta. Tuttavia, dopo che si allontanarono dall’auto, Donatella chiese aiuto e così il baule venne aperto rivelandone il contenuto.
La foto scattata a Donatella che si alza dal baule, tumefatta e ricoperta di sangue, è diventata il simbolo di questo efferato crimine. Simbolo che molti hanno ricondotto all’eterna lotta tra ricchi e poveri, tra comunisti e fascisti, tra patriarcato e femminismo. Sì, perché la vicenda ha diviso – e probabilmente divide ancora oggi – l’opinione pubblica italiana. Ed è sul dibattito riguardante un certo sguardo di rimprovero nei confronti delle donne, specialmente dopo uno stupro, che la serie punta.
La serie
Vediamo la vicenda attraverso più sguardi e il punto di vista è sicuramente quello femminile, ma la cinepresa punta fissa su Teresa Capogrossi e su Donatella Colasanti. Teresa (personaggio inventato, interpretato da Greta Scarano), è la giovane avvocata che difende Donatella (interpretata da Ambrosia Caldarelli) in tribunale e che combatte affinché giustizia sia fatta; abbraccia la causa femminista e riesce a far capire a Donatella che la legge si può cambiare e che lo stupro (che all’ora era un reato contro la pubblica morale) deve diventare reato contro la persona.
Il suo rapporto con Donatella potrebbe riassumersi in una “sorella maggiore” che si prende cura di lei, tuttavia c’è molto di più: entrambe si prendono cura l’una dell’altra, si supportano, lottano e arrivano fino in fondo.
Donatella è una ragazza di soli diciassette anni, ma questo non la ferma. Qui viene rappresentata la forza e il coraggio che la contraddistingue. Donatella ha avuto il coraggio di denunciare, cosa che, purtroppo, troppo spesso non si fa a causa di una società che vede nella vittima una complice, per non citare la frase che ogni vittima di stupro ha sentito: “te la sei andata a cercare”. Nella serie, su quest’ultimo elemento si basa gran parte della prima parte del processo. E non solo per quello del Circeo, anche per i mille altri che lo hanno preceduto e seguito. Durante uno dei primi dibattimenti, la difesa evidenzia che i tre assassini fossero “bravi ragazzi”. Vi ricorda qualcosa? Qualsiasi titolo giornalistico riguardante la violenza sulle donne.
Scarto sociale
I tre ragazzi erano dei “pariolini”, cioè appartenevano alla “Roma bene”, quella ricca, tutti figli di ricchi avvocati, imprenditori o medici; Donatella e Rosaria provenivano dalla Montagnola, una delle tante borgate romane meno abbienti. In che modo ciò giustifica il massacro? Non lo giustifica, ma l’opinione pubblica e l’accusa puntavano il dito contro due “borgatare” (Donatella e Rosaria, appunto) che avevano conosciuto questi ragazzi e che con loro “non c’entravano nulla”. Per questo motivo il processo è diventato un simbolo della diatriba tra ricchi e poveri: i giovani rampolli, da sempre vissuti nella bambagia, che credono di poter fare ciò che vogliono, persino stuprare e uccidere, spesso con l’appoggio di società e famiglia che li giustificano pur di salvare le apparenze .
Donatella vorrebbe godere della sua giovane età, ma non può farlo perché per tutti sarà sempre “quella del Circeo”. Come se la sua colpa fosse stata quella di sopravvivere, come se non potesse più vivere la sua vita, come se dovesse dimostrare costantemente il suo dolore.
Il tempo che scorre inesorabilmente
Un altro protagonista è il tempo: vediamo, infatti, lo scorrere dei mesi e il passaggio degli anni, che porta a vedere la vicenda in modo diverso. Ciò accade perché, come ricorda più volte Teresa, più ci si distanzia dai fatti e meno forte sarà l’impatto emotivo. Se prima più o meno chiunque era rimasto sconvolto dalla vicenda e protestava nelle piazze (ricordo che il processo divenne il simbolo della lotta femminista contro il controllo esercitato dal patriarcato sulle donne e sul loro corpo), ora in pochi si ricordano quel volto tumefatto di Donatella e del cadavere di Rosaria Lopez in quella 127 bianca.
Al funerale di Rosaria c’erano migliaia di persone, cinque anni dopo gli unici a partecipare alla messa di anniversario sono unicamente i parenti. Donatella partecipa all’evento e si stupisce nel vedere la chiesa vuota. Con un focus sull’espressione sbigottita di Donatella che si guarda intorno alla ricerca delle persone che non ci sono, la regia scandisce l’affievolirsi del ricordo e strizza l’occhio a noi spettatori per farci urlare nel profondo “non dimenticare”.