Lo sciopero nazionale iniziato in Colombia il 28 aprile non si ferma. I comitati hanno convocato nuove giornate di protesta, previste per il 26 e il 28 maggio e sempre più contingenti popolari si sono uniti alle mobilitazioni, come la Guardia Contadina e Indigena, rappresentativa delle minoranze native, e i sindacati dei lavoratori. Francisco Maltés, presidente dell’organizzazione sindacale Central Unitaria de Trabajadores (CUT), auspica che il governo si decida ad avviare un processo di negoziazione coi manifestanti, orientato al conseguimento di adeguate garanzie per l’esercizio delle proteste e alla cessazione delle violenze.
La stampa ha tentato in svariati modi di definire in modo unitario l’attuale mobilitazione colombiana, caratterizzandola come una ribellione, un’esplosione popolare, un vulcano rivoluzionario o una sommossa anti-oligarchica. Per cercare di svelare la natura di questa rivolta popolare – che sta condizionando in modo significativo la vita di milioni di persone, la stabilità del governo di Iván Duque Marquez e anche la percezione a livello internazionale del fenomeno – è necessario considerare diversi elementi.
L’origine delle proteste
Un primo fattore da prendere in considerazione per l’analisi del fenomeno è la popolazione coinvolta nella rivolta. In prima linea negli scontri ci sono i giovani, stanchi della condizione di precarietà e povertà in cui versa il Paese. Milioni di persone under 25 si sono riversate per le strade di Cali, Bogotá, Pereira, Ibagué e Popayán, protestando contro un sistema sociale di assoluta miseria, aggravato dalla pandemia e dal calo delle entrate governative subito nell’ultimo anno.
La Colombia ha imposto uno dei lockdown più lunghi al mondo che ha causato enormi problemi economici, tra cui la chiusura di oltre 500mila attività, con il 43% della popolazione in assoluta povertà (+7% rispetto all’era pre-Covid) e 2,8 milioni di persone che vivono con meno di 145mila pesos al mese, che equivalgono a circa 32 euro. Proprio sui giovani lo Stato ha riversato una violenza perpetrata dalle forze di polizia che ha causato la morte di 50 di loro, centinaia di feriti e dispersi, a cui bisogna aggiungere soprusi di vario genere. Tutti crimini di cui la Squadra Antisommossa ESMAD si è resa protagonista e che sono stati fortemente condannati anche dalle organizzazioni internazionali. La portavoce dell’Alto commissariato dei diritti umani dell’Onu, Marta Hurtado, si è detta «profondamente allarmata» dall’uso eccessivo di brutalità da parte dell’esecutivo colombiano.
Nel corso delle settimane gli scontri si sono fatti più intensi e alle manifestazioni si sono unite anche varie categorie di lavoratori (camionisti, tassisti, impiegati pubblici, come gli educatori associati alla FECODE, il principale sindacato del CUT), nonché gli esponenti delle comunità indigene e i collettivi urbani e rurali. A dimostrazione del fatto che lo sciopero è rappresentativo di vari interessi sociali, aventi come comune denominatore la richiesta di più libertà e diritti.
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