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Comportamenti socialmente indotti

Il comportamento di ogni singolo individuo all’interno della sua esistenza è condizionato da una quantità infinita di fattori: sicuramente, il più influente è l'ambiente che ci circonda

Il comportamento di ogni singolo individuo all’interno della sua esistenza è condizionato da una quantità infinita di fattori esterni. La stessa predisposizione attitudinale, volontà e ricerca di un soggetto sono condizionate da quello che è l’ambiente in cui vive, arrivando quasi a poter affermare che un individuo è tale in base alle sue esperienze di habitat, di cultura e di crescita. Il carattere proprio ed addirittura il DNA sembrano fare un passo indietro davanti alla forza dirompente del condizionamento ambientale, inteso sia in senso territoriale sia comportamentale.

Queste affermazioni sembrano trovare conferma in numerosi studi, esperimenti e teorie che da anni caratterizzano il mondo della sociologia, della psicologia e dell’antropologia. Uno di questi che ha fatto la storia della psicologia e non solo, è l’esperimento carcerario di Stanford. Esso si svolse nel 1971, promosso dal professor Zimbardo, per studiare il comportamento degli individui definiti solo in base al loro gruppo di appartenenza. Egli ricreò all’interno di un campus la ricostruzione di un ambiente carcerario, divise in due gruppi – guardie e detenuti – 24 uomini adulti, sani, appartenenti alla classe media e privi di qualsiasi comportamento deviante. I ruoli erano caratterizzati da uniformi, in modo che tutto sembrasse simile alla realtà, e regole da rispettare.

Nonostante la consapevolezza dell’esperimento, dopo pochi giorni si registrarono episodi di rivolta da parte dei carcerati e di repressione violenta da parte delle guardie. In soli due giorni e nonostante la piena consapevolezza della realtà fittizia, i comportamenti che questo esperimento scaturì furono reali. I partecipanti cominciavano a mostrare seri segni di dissociazione dalla realtà, disturbi psicologici, fragilità e sadismo a seconda dei casi. Così l’esperimento fu interrotto. I comportamenti registrati furono di preziosa utilità per gli studi nel campo e rimasero una delle prove più studiate di tutti i tempi. L’istituzione, il gruppo a cui apparteniamo e il ruolo che sentiamo di rivestire operano in noi in maniera fortissima, arrivando a farci assumere deviazioni alle quali non ci saremmo mai aspettati di appartenere.

Ma non sono solo le istituzioni e i ruoli che ci indirizzano verso determinati comportamenti. In maniera ancora più sottile e penetrante siamo soggetti fin dall’inizio della nostra vita a condizionamenti che ci orientano a costruire un tipo di vita basato sul successo, sul consumo, sul potere. La società americana è stata una delle capostipiti di quello che da “sogno americano” è diventato “sogno globale”. Negli ultimi decenni abbiamo assistito a crescite esponenziali dal punto di vista economico, ad accelerazioni al consumo, alla produttività.

Il mondo economico, al pari di quello istituzionale, esercita su di noi un controllo ed un condizionamento potenti. Esso si insinua nei nostri pensieri per arrivare al centro dei nostri desideri e far leva proprio su quella caratteristica che in quanto esseri umani ci caratterizza: essere soggetti ad un incessante desiderio. Le abilissime pubblicità, in ogni immagine che ci mettono davanti imprimono in noi un’idea di modello da rispettare a cui esse stesse sono soggette. Prima ancora di chiederci se quel determinato tipo di vita sia quello che realmente desideriamo per noi, ci troviamo a tendere in maniera sfrenata per realizzarlo. Perché tutto attorno a noi sembra dirci che è così. Che questo è il modo di vivere. L’unico.

Negli anni, anche in questo campo, numerosi studi e ricerche hanno rivelato dati allarmanti sulla nostra propensione al consumo e alla sottomissione al mondo economico. In molti hanno iniziato a mettere in discussione questo sistema così invasivo, sottile e penetrante, aprendo strade alternative. Un esempio è la filosofia del minimalismo, raccontata nel documentario “Minimalism” da due ragazzi americani che hanno approcciato questa filosofia di vita nel concreto e hanno cominciato a diffondere il loro messaggio.

Avere meno cose per stare meglio. Non basare la propria qualità della vita su quanto si ha ma su cosa si è, su cosa si può fare e sul perché lo si ha. Stravolgendo dentro di loro prima che in ogni altro posto la mentalità del devo avere, devo comprare, devo essere. Consapevoli del fatto che in quanto umani, rimaniamo influenzati da fattori esterni, da perpetrate manipolazioni più o meno inconsce, da esperienze che fanno di noi quello che siamo. Possiamo forse chiederci e capire il limite in cui rimaniamo noi e agire in questo. La sfida è diventare persone più consapevoli, attente, umane ed ecosostenibili.