La manovra economica proposta dal governo gialloverde non smette di far discutere. Ora la polemica travolge il tema del lavoro, o meglio il lavoro e la gravidanza.
Più volte questo governo è stato accusato di essere “contro le donne”, a partire dalle critiche al DDL Pillon e le molteplici dichiarazioni quantomeno equivoche del ministro Fontana. E ora questo: nella manovra economica per il 2019 si è prevista una riforma del congedo di maternità che consentirebbe alle lavoratrici incinta di restare al lavoro fino al nono mese di gestazione. Inutile dire i “cori da stadio” che si sono sollevati in favore e contro questo provvedimento. Del resto, ormai, la politica si è ridotta a questo: polveroni di parole gettate al vento, commenti faziosi e di parte.
Ma si tratta davvero di un provvedimento che viola la dignità della lavoratrice donna, oltre che mettere in pericolo la salute della madre e del bambino?
Proviamo a capirci qualcosa, tramite un confronto tra la precedente disciplina e quella che si prospetta nella manovra.
Il congedo di maternità è un istituto di diritto del lavoro che consente alla lavoratrice di conservare il proprio posto di lavoro, sospendendo la prestazione lavorativa, a fronte dell’impossibilità di svolgere le proprie mansioni a causa della gravidanza. Oltre alla conservazione del posto di lavoro, il congedo di maternità mantiene il diritto a un’indennità che sostituisca la retribuzione ordinaria, conserva il diritto ai contributi previdenziali e assistenziali e consente la maturazione dei diritti legati all’anzianità di servizio.
Un’adeguata tutela della lavoratrice madre e del bambino è sancita dall’articolo 37 della Costituzione. Questa previsione di principio è attuata a livello di normativa di dettaglio dal d.lgs. n. 151 del 2001, il cosiddetto Testo Unico per la Maternità, così come tutelato dai decreti di attuazione del Jobs Act. La ratio di questa normativa è conciliare le esigenze di vita, di cura e quelle del lavoro, approntando disposizioni di tutela e sostegno della maternità, nonché della paternità.
L’articolo 2 del Testo Unico per la Maternità definisce espressamente il congedo di maternità come un periodo di astensione obbligatoria dal lavoro. Il periodo di durata del congedo di maternità è fissato a cinque mesi, che decorrono da due mesi prima della data prevista per il parto e scadono tre mesi dopo la data del parto. Previa autorizzazione medica, la lavoratrice può usufruire del congedo un mese prima del parto e nei quattro mesi successivi all’evento.
Durante il congedo di maternità, la lavoratrice, in sostituzione della retribuzione sospesa, ha diritto a percepire un’indennità giornaliera pari all’80% della retribuzione ordinaria. Su tale indennità vengono applicati per tutto il periodo di congedo, i contributi previdenziali a fini pensionistici.
Il diritto al congedo di maternità è riconosciuto anche in caso di adozione di minore, per i primi cinque mesi dalla data d’ingresso del bambino nel nucleo familiare, e di affidamento di minore, valido per tre mesi nei primi cinque mesi di affidamento.
È inoltre previsto un periodo d’interdizione anticipata in caso di gravidanza a rischio, mansioni incompatibili, parto prematuro e ricovero del neonato.
Sono previsti, inoltre, come misura a sostegno della genitorialità due tipi di congedo di paternità. Uno facoltativo e uno obbligatorio.
Il congedo di paternità facoltativo è definito dal Testo Unico per la Maternità come un periodo si astensione dal lavoro del lavoratore padre in alternativa al congedo di maternità, nel caso di morte, grave infermità della madre, abbandono o nei casi di esclusivo affidamento del bambino al padre. In questo caso il trattamento economico e contributivo è uguale al congedo di maternità.
Il congedo di paternità obbligatorio oggi è previsto per quattro giorni (rispetto ai due del 2017) da esercitare nei primi cinque mesi di vita del bambino.
È previsto anche il cosiddetto bonus bebè, un contributo di massimo 1.000 euro, per il pagamento di rette per la frequenza di asili nido pubblici e privati e di forme di assistenza domiciliare in favore di bambini con meno di tre anni affetti da gravi patologie croniche.
Questa disciplina, vigente allo stato di diritto, sta per cambiare. Il governo Lega – 5Stelle, ha messo mano alle
riforme sociali in sostegno alla genitorialità.
La novità più evidente, che ha alzato più polemiche, concerne il congedo di maternità. L’emendamento presentato dalla Lega e promosso dalla Commissione di Bilancio della Camera, prevede che il congedo possa essere usufruito interamente dopo il parto, sempre per cinque mesi, e di conseguenza la lavoratrice in gravidanza potrebbe lavorare il giorno prima del parto, salva la necessaria autorizzazione del ginecologo.
Questa previsione ha sollevato numerosi interventi al riguardo, tra cui quello di Paola Profeta. Professoressa associata della Bocconi, apprezza l’intervento legislativo, sostenendo che si tratti di un’opportunità per le donne in carriera. Le lavoratrici, che più dei colleghi uomini sono portate a doversi districare tra lavoro e vita privata, potrebbero così continuare a lavorare fin quando riescono. Si potrà perseguire i propri obiettivi di carriera, tenendosi i giorni di congedo per il periodo in cui il bambino avrà bisogno di cure e attenzioni maggiori. In effetti, così, sarebbe un’opportunità per sollevare gli standard di uguaglianza di genere.
Ma in Italia facciamo sempre così, se iniziamo una cosa buona, poi ci incartiamo, ci fermiamo, non c’è il coraggio di andare in fondo. E, infatti, questo emendamento nasconde dietro l’angolo, un pericoloso rischio per la salute delle mamme e dei bambini.
D’accordo con la professoressa profeta, la libertà di scelta della donna è e deve essere sacrosanta, la gravidanza non è un limite, è un arricchimento, ma purché la scelta sia effettivamente assunta in assoluta libertà.
Se è vero, da un lato, che questa scelta non sarà ammessa per determinate tipologie di lavoro usurante, e che servirà l’autorizzazione del ginecologo, è anche vero, dall’altro lato, che questa libertà di scelta è un’arma a doppio taglio. La volontarietà del periodo di congedo espone la lavoratrice al rischio di un ricatto da parte del datore di lavoro. Questo è il timore che serba Vincenzo Martino, vicepresidente nazionale dell’associazione Avvocati Giuslavoristi Italiani, rispetto al provvedimento.
È fin troppo palese che la volontà della lavoratrice possa essere condizionata dalla pressione che il lavoratore esercita su di lei, in forza di un rapporto contrattuale tra due parti non alla pari, in cui il lavoratore è il contraente contrattualmente, nonché economicamente e socialmente, più debole.
Molti sono i modi di intimorimento da parte del datore di lavoro, minaccia di cambiamento dei turni, di un trasferimento, di un licenziamento (futuro, ovviamente, in quanto sia durante la gravidanza sia durante il primo anno di vita del bambino è vietato il licenziamento della lavoratrice madre e del lavoratore padre).
Altrettanti sono i motivi per cui il datore di lavoro può condizionare il godimento del congedo di maternità. Possono essere necessità legate a una maggior produzione in quel periodo, per impossibilità di sostituire la lavoratrice, e via dicendo.
Il giuslavorista non nasconde i suoi dubbi sulla effettiva tutela della genuinità della volontà della lavoratrice. Sottolinea infatti che esposte al rischio sono soprattutto le lavoratrici precarie.
I dubbi non riguardano solo questioni di diritto, ma anche la salute della lavoratrice e del bambino. In questo ambito le opinioni non sono tutte concordi. Ad esempio il vice presidente della Società italiana di ginecologia e ostetricia, Vito Trojano, si trova d’accordo con l’emendamento. Sostiene che sia consigliato mantenersi in attività fino al termine della gestazione, anche tramite l’attività lavorativa, purché, ovviamente non vi siano controindicazioni cliniche. Trojano sottolinea anche la necessità di un distinguo rispetto al tipo di lavoro svolto, confermando che è, invece, sconsigliato svolgere mansioni faticose e prolungate durante la gestazione.
Certo che oggi, con la frenesia della vita, degli spostamenti, il carico di stress è evidentemente elevato, è innegabile. E dubito che a una donna incinta al nono mese faccia bene un eccessivo accumulo di stress, tensioni e pressioni varie.
Non mi trovo neanche in disaccordo con quanto affermato da Giulia Zinno, presidente dell’Associazione Ginecologi Consultoriali, che consiglia comunque alle giovani donne in gravidanza di godersi almeno un mese di uno dei periodi più particolari, speciali e ricchi di emozione della vita. Purtroppo questa società non ci consente di assaporare i singoli momenti della vita in quanto tali, quello che conta è il profitto, i soldi, il posto di lavoro che non possiamo permetterci di perdere; e così ciascuno di noi è portato fare un bilanciamento tra interessi.
La possibilità di usufruire del congedo interamente dopo il parto non è un male, non deve essere demonizzata. Può rappresentare un’opportunità per la lavoratrice, ma deve essere valutata caso per caso. Serve attenzione estrema per la salute fisica e psicologica della madre e del bambino. Si deve tutelare quanto più possibile la genuinità della volontà della lavoratrice, mettendola al corrente dei rischi con un’attenta fase d’informazione. Si devono inoltre impedire con tutte le forze eventuali pressioni su di lei, da qualunque parte provengano. Potrebbe essere un buon provvedimento, ma deve essere attuato correttamente, prestando attenzione ai punti più delicati e ai risvolti più pericolosi. Speriamo che, se dovesse essere applicata, si vada fino in fondo.
Ma non solo il congedo di maternità è coinvolto dalla manovra. Infatti, è previsto un emendamento, che riformula una proposta della Lega. Aumenterebbe fino a 1.500 euro l’anno l’importo dell’assegno per il bonus bebè, per il triennio 2019-2021, per poi tornare a 1.000 nel 2022. Sicuramente una forma di sostegno alla genitorialità, alla luce dei drammatici dati diffusi la scorsa settimana che registrano 15.000 nascite in meno rispetto all’anno precedente.
Questo è segno che fare figli oggi è una scelta sempre più difficile, che spaventa i giovani; ma non è solo colpa della crisi, anche di scarsi servizi a disposizione, pochi incentivi, pochi sussidi.
Nel pacchetto famiglia è previsto anche un aumento del congedo di paternità obbligatorio, previsto non più per quattro, bensì cinque giorni.
Questo provvedimento è uno di quei temi estremamente delicati, ci si deve approcciare con competenza e capacità di bilanciamento d’interessi contrastanti. Lavorare fino al parto non necessariamente comporta un danno. Non è per forza un aspetto negativo. Non deve essere inteso come sfrenato capitalismo e sfruttamento dei lavoratori. Può essere una grande occasione. Devono però essere approntate tutte le tutele necessarie per tutelare la genitorialità, la salute della mamma e del bambino, l’uguaglianza tra uomo e donna, sia sul lavoro sia nell’essere genitori.
La gravidanza non è e non deve essere considerata un limite. E’ un momento delicato per la donna, per la sua salute fisica e psicologica, e per quella del bambino. Non bisogna esagerare. Dobbiamo ricordare di essere umani, non robot. Non dobbiamo avere il mito del super uomo, fare sempre tutto, farlo perfettamente e fare sempre di più.
A volte fermarsi, guardare la vita che va avanti, che si rigenera, che nasce, vale di più che dimostrare di essere forti.