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Dimenticare l’italiano per imparare l’inglese

È possibile parlare più lingue senza conoscerne nessuna? Perché oggi usiamo tanti termini inglesi? E perché i bilingui mescolano e contaminano le lingue?

“Too much of a good thing”

Iniziare un articolo con una frase in inglese mentre dovrei scrivere in italiano non è forse la scelta più saggia che possa fare. “Perché?” è la parola che vorrei schrivere, ma tutto ciò che mi viene in mente è “Why?”. Sottolineerei anche la mia audace scelta di lasciare le contaminazioni ortografiche così come mi vengono mentre scrivo, o meglio, schrivo.

Avrei voluto trattare tutt’altro argomento, ma le questioni – e le lingue – che mi frullano per la testa sono tante e non esiste un ordine gerarchico con il quale desideri trattarle. Quindi rimanderò la discussione del significato di “Too much of a good thing” per trattare adesso una questione puramente linguistica e strettamente culturale.

From bello to biutiful

Quando ero ancora una studentessa al liceo scientifico l’algoritmo di You Tube mi mise sotto gli occhi un video alquanto interessante: “From Bello to biutiful: what’s going on with the Italian Language?”. Si trattava di una Ted Talk di Anna Maria Testa, nella quale per una ventina di minuti ella discorreva su come con l’avvento della globalizzazione e dell’era digitale, la lingua italiana si stia arricchendo di espressioni straniere, in particolare di prestiti dall’inglese e calchi.

Una sua espressione che – I’d say “struck me” but no, I cannot since I’m writing in Italian, so I’d better find another word to express that – mi colpì molto fu che chi sa davvero parlare bene delle lingue, le usa separatamente.

Da più di un decennio tra elementari, medie, liceo, film e serie tv, coltivo il suono della lingua inglese nelle mie orecchie, mentre quello del tedesco da poco più di un anno. Se proprio devo mettere la ciliegina sulla torta da qualche mese anche il russo circola tra le mie tempie, ma whatever.

Now why do I keep spitting English words here and there and I write my stream of thoughts also in English? Well, to show you how bad I am at languages according to Anna Maria.

Chi sa davvero parlare bene delle lingue, le usa separatamente.

La frase di Anna Maria Testa mi colpì allora, quando ancora non studiavo lingue all’università, e mi perseguita oggi, nella mia vita universitaria di tutti i giorni. Più mi immergo tra i fonemi ed i lessemi delle altre lingue, più mi sembra che le mie capacità di esprimermi in un italiano corretto vadano ad affievolirsi.

Ma siamo sicuri che questo mix di lingue sia dovuto alla non approfondita conoscenza delle lingue parlate?

Mi rendo conto che esprimersi con vocaboli di origine inglese spesso sia una questione di moda, fa suonare più cich. Il giornalista sportivo che scrive “Ottimo corner” sembra più altisonante di quello che scrive “Bell’angolo”. L’imprenditore che parla di “business” anziché di “affari” e afferma di aver avuto una “call” sembra molto più professional di quello che ha avuto solo una “riunione”. E ancora, il negozio che scrive “New Opening” è più trendy di quello che scrive “Prossima Apertura” – and by the way, “New Opening” non è la dicitura che i negozi su suolo anglosassone utilizzerebbero per indicare l’apertura di un nuovo negozio. “Opening Soon” è ciò che esporrebbero, “New Opening” è un calco tutto italiano.

Potrei andare avanti per ore ad elencare esempi di questo genere, ma sarebbe pointless, inutile. Infatti non è un fenomeno nuovo. Le lingue sono legate al paese in cui vengono parlate, e come molti linguisti concordano languages are a matter of power, sono una “questione di potere“. Negli ultimi settant’anni l’Europa è rimasta coinvolta sotto la sfera d’influenza statunitense, quindi l’inglese è diventata la lingua del potere. Ai tempi di Foscolo e Goethe invece era il francese, ai tempi di Cesare il latino. Le lingue sono entità viventi e dinamiche, cambiano e si evolvono per mezzo dei parlanti, adattandosi all’epoca e al luogo in cui sono parlate.

Profilo di Seattle, Washington State, USA. In primo piano il futuristico Space Needle.

 

Tuttavia al di là della moda e del potere sociale di una lingua, non tutti i prestiti si creano per questione di stile. Alcuni prestiti e calchi si creano perché nella lingua corrente non esiste una parola per denominare una determinata innovazione. Dopo che Zuckerberg inventò Facebook, dando inizio all’invasione dei social network, non si è cercato di tradurre un certo “Libro Delle Facce”, e non si è iniziato a fare uso di “reti sociali”. Spesso è questione di chiamare la realtà con il proprio nome, e gran parte delle novità dei nostri tempi arrivano da una specifica area situata sulla costa nord-occidentale del Pacifico.

Spesso è questione di chiamare la realtà con il proprio nome.

Esiste però ancora un altro elemento portatore di fortuite espressioni straniere in italiano. This is the category I use the most, while in my mental confusion I mingle terms and syntax as my mind keeps switching from one code to another. È il fenomeno del cosiddetto code-switching, molto diffuso tra i parlanti pluri o bilingui e nei paesi nei quali più lingue vengono utilizzate come lingue nazionali. Il mio pensare e poi scrivere un po’ in inglese e un po’ in italiano è un tipico esempio di code-switchig. Ma perché succede?

Perché mentre parlo in italiano e devo nominare un preciso oggetto a volte mi capita di riuscire a chiamarlo solo con il suo nome in inglese o altre lingue? Perché impiego alcuni secondi prima di ricordarmi come si chiami in effetti in italiano?

Stando alle parole di Anna Maria Testa succede perché io non sappia parlare davvero bene, non solo l’inglese ed il tedesco, ma nemmeno la mia madre lingua, l’italiano. Per quanto possa essere per certi versi d’accordo, mi sento di disagrire.

In un articolo per NPR, Matt Thompson spiega cinque ragioni per le quali avvenga il code-switching“Our lizards brains take over”. I nostri cervelli super veloci prendono il controllo, e ci dirottano silenziosamente verso soluzioni linguistiche alternative, senza che noi ce ne accorgiamo. Come questo avvenga lo può spiegare la scienza.

La CCA (corteccia cingolare anteriore) si trova nella zona identificata come “cautiosness” (attenzione) nell’immagine.

Il neuropsicologo Jubin Abutalebi dell’Università di San Raffaele di Milano afferma che le persone bilingui hanno molta più “materia grigia” rispetto ai monolingui nella corteccia cingolata anteriore (CCA). Sono infatti molti gli studiosi a favore della tesi che parlare più lingue abbia degli effetti significativi sul cervello. Uno studio effettuato nel 2008 e pubblicato dal giornale Language and Cognitive Processes, ha infatti messo in luce tramite delle fotografie cerebrali che mentre un bilingue parla, la CCA sopprime in continuazione l’impulso di utilizzare le parole e la grammatica dell’altra lingua.

Tuttavia esiste un’ulteriore ragione più prettamente pragmatica e strettamente legata alla connotazione delle parole e al concetto di equivalenza: sempre secondo Matt Thompson il code-switching “Helps us convey a thought”, ovvero ci aiuta ad esprimere un pensiero specifico.

È ben difficile trovare la perfetta traduzione per determinate espressioni.

Le parole infatti al di là del significato denotativo, ovvero ciò che significano in maniera oggettiva, possiedono delle connotazioni. Ad esempio la parola “asino” denota un animale, ma se io la riferisco ad una persona dicendole “sei un asino” il significato assunto da questa parola è di tipo connotativo, ovvero non sto dicendo al mio referente che è l’animale “asino”, ma che è “stupido”.

Lingue diverse attribuiscono connotazioni diverse a parole simili e questo rende difficile trovare una perfetta equivalenza tra una lingua e l’altra. Se oltre ai vocaboli iniziassimo a preoccuparci anche della sintassi, ci renderemmo presto conto che è ben difficile trovare la perfetta traduzione per determinate espressioni. Gain and losses of translation, “guadagni e perdite della traduzione” come direbbero molti traduttori. Certe espressioni sono intraducibili, e certe idee e certi pensieri riescono ad essere espressi con tutte le loro sfumature solo con le parole di una singola lingua.

Colori complementari e sfumature di significato. “Gain and losses of translation”.

Quindi, tutti coloro che mescolano lingue diverse tra di loro, lo fanno volontariamente per abitudine e moda? Per apparire più intelligenti? Oppure è questione di sfumature di significato? Sono le parole a sfuggire incontrollate perché la corteccia celebrale anteriore e troppo stanca per bloccare gli impulsi dell’altra lingua? O è perché alla fine dei conti non sanno parlare bene nessuna delle due lingue?

Ciò che so per certo è che nei momenti di stanchezza, nei quali sono meno vigile, la mia mente mi regala degli originali scherzi di creatività. Shorto per corto (in inglese short), gli strafalcioni che ho trascinato per tutto il corso dell’articolo (disagrire significa “togliere l’acidità dal vino”, non “essere in disaccordo” sul calco dell’inglese “to disagree”), le innumerevoli volte in cui parole come “finisce, scena, sciarpa” si mescolano con l’ortografia tedesca e diventano “finische, schena, schiarpa” e ancora le “r” che si trasformano in “p” e gli innumerevoli sforzi mentali per non leggere la “y” come “u” rincorrendo segni e suoni dell’alfabeto cirillico. Luoghi comuni per bilingui e chi studia le lingue, luoghi comuni.