Officina Magazine
Magazine online d'attualità e opinioni

Disobedience, un libro introspettivo

Naomi Alderman al suo esordio: un capolavoro letterario.

Inghilterra, 2006: una giovane scrittrice pubblica il suo primo romanzo che, se per certi aspetti desta clamore e controversie, il pubblico accoglie con entusiasmo. Nello stesso anno vince il premio Orange Award for New Writers, il Sunday Times Young Writers for The Year nel 2007 e, nello stesso anno, compare sul Waterstones tra i 25 scrittori emergenti del momento. E così via, scrive altri romanzi e vince altri premi tra cui l’ambitissimo Baileys Women’s Prize for Fiction nel 2017.
La scrittrice in questione è Naomi Alderman, la pupilla di Margaret Atwood e qui verrà trattato il suo primissimo libro: Disobedience, uscito in Italia nel 2007 con il titolo di Disobbedienza, e adattato cinematograficamente nel 2018.

La trama del libro è la seguente: Ronit, la figlia del rabbino della comunità ebreo-ortodossa del quartiere londinese Hendon, vive da diverso tempo a New York, ma l’imminente morte del padre la riporta nei luoghi della sua infanzia, dove ha lasciato i ricordi di un’amicizia profonda con Esti. Le comunità ebreo-ortodosse seguono e si adeguano strettamente alle leggi della Torah e ai precetti del Talmud, a tal punto che i contatti con le persone avvengono all’interno della comunità stessa, dove una rigida gerarchia patriarcale fa da padrona. Il ruolo della donna è confinato a quello di moglie e madre, sebbene talvolta esegua mansioni come l’insegnamento della Bibbia alle giovani ragazze. Naomi Alderman conosce molto bene questo mondo, avendone fatto parte lei stessa.

Ronit è una donna indipendente che è riuscita -almeno in parte – a emanciparsi da quella comunità chiusa che vedeva in lei una potenziale moglie e genitrice di futuri pargoli. Tuttavia, non è mai stata del tutto libera perché l’incombenza del passato, di questioni taciute e lasciate in sospeso, è pronta a farsi sentire.
Tra i motivi per cui Ronit si è allontanata dalla società in cui è cresciuta ne emerge uno in particolare: una questione lasciata in sospeso molto tempo prima, cioè la relazione tra lei ed Esti.

Esti, al contrario di Ronit, è rimasta ad Hendon e si è adeguata alle regole della comunità. Si è sposata e ha iniziato a insegnare alla scuola ebraica. La relazione con Ronit è stato un momento molto significativo della sua vita: hanno iniziato a frequentarsi quando erano molto piccole e, piano piano, l’amore è sbocciato all’improvviso, come un fiocco di neve che cade dal cielo in una mattina invernale. Le due si ritrovavano nel giardino della casa di Ronit sotto un cespuglio dove nessuno poteva vederle. Parlavano ore e ore e iniziavano a scoprirsi attratte l’una dall’altra.

La partenza di Ronit ha segnato, in un modo o nell’altro, la fine di una relazione che non sarebbe mai potuta proseguire. Hendon è piccola, tutti sanno tutto di tutti. Il loro rapporto era uscito allo scoperto e Ronit, che non era mai riuscita a sopportare il peso di una comunità così rigida, mette pecunia da parte e lascia la sua città natale.

Esti, che ormai ha compreso la sua identità di genere, è costretta a mettere da parte i suoi sentimenti e adeguarsi alla società in cui vive. E dunque sposa Dovid, un ragazzo poco più grande di lei con il quale giocava da ragazzina, perché era stato preso sotto l’ala protettiva del rabbino, il padre di Ronit, e istruito per prendere il suo posto. Per Esti è un compagno e un amico con cui parlare e affrontare il futuro, sebbene sappia di essere ancora legata a Ronit. O forse, non è il legame con Ronit in sé, è qualcos’altro che scoprirà soltanto più avanti.

È interessante notare quanto segue: il rapporto tra le due non è il nodo centrale del libro. La narrazione è in terza persona singolare con narratore onnisciente, ma diventa in prima quando l’attenzione si focalizza su Ronit e sul suo passato. Proprio quel passato che l’ha fatta scappare via da una società composta da regole e limitazioni: dal modo di vestire, alle parrucche che portano le donne sposate, dall’eruv allo Shabbat delle 18:18 del venerdì.

“ Qualche volta penso che lei non fosse niente per me, e che me la sono scrollata di dosso senza più guardarmi alle spalle. Ma i sentimenti che nutriamo per le persone sono più complicati. A volte penso che se lei mi avesse chiesto di rimanere, anche solo una volta sola, sarei rimasta per sempre. I rabbini ci insegnano che tutti abbiamo dentro mondi interi”.

È con queste parole che Ronit definisce ciò che è rimasto tra lei ed Esti: una parentesi che sembrava dimenticata e invece non è mai stata chiusa. Esti è rimasta all’interno della società e, in qualche modo, si è adattata finché il ritorno di Ronit non le ha fatto capire che dalla vita vuole altro, che può trovare soltanto dentro se stessa e fuori dalla rigidità della società. Questo non vuol dire andarsene, perché si sente parte di Hendon e vuole continuare a viverci. Tuttavia, ciò che cambia è la consapevolezza di poter avere una scelta e decidere come affrontare la vita. È una storia di emancipazione verso se stessi, in cui l’amore, anziché essere lo scopo, è il mezzo con cui si raggiunge questa consapevolezza.