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“E poi basta” di Espérance Hakuzwimana Ripanti

Il manifesto di una donna nera italiana

Espérance fin da bambina ha sempre avuto due soli desideri: leggere moltissimo e diventare una scrittrice. Si sono avverati entrambi: oggi la sua biblioteca straripa di libri di cui parla ogni mattina alle 9:30 nel programma Quarta di copertina per Radio Beckwith e nell’estate del 2019 ha scritto il suo primo libro, edito dalla casa editrice People nell’autunno dello stesso anno.

Espérance bambina ed Espérance donna si sono ricongiunte, ma nel mezzo che cosa è accaduto? Molte cose, verrebbe da rispondere piuttosto banalmente, anche se forse sarebbe più corretto dire che ci sono state molte domande.

Domande a cui non aveva mai pensato, ma per le quali è stata costretta a costruire delle precise risposte che più che soddisfarla, accontentassero l’ascoltatore. Domande alle quali Espérance non avrebbe mai voluto rispondere, preferendo continuare a leggere e scrivere, come tutte le ragazze della sua età.

Ma.

Però.

Espérance ha incontrato tanti ma e tanti però nella sua vita. Perché Espérance è una ragazza nera italiana, e si sa, quando il colore della tua pelle si allontana dal bianco il mondo si arroga il diritto di farti tante domande e pretende anche che tu risponda.

 

TRA RUANDA E ITALIA

L’autrice ha solo tre anni quando nel 1994 scoppia in Ruanda uno dei genocidi più sanguinosi del XX secolo. All’epoca si trova in un orfanotrofio gestito da un’associazione italiana che riesce a portare lei e altri quaranta bambini in Italia. Arrivano nella provincia di Brescia e dopo un primo periodo in cui vengono accuditi dai volontari dell’associazione, i bambini vengono presi in adozione da diverse famiglie della zona.

Immaginate crescere nella bassa Pianura Padana alla fine degli anni ’90. Ora immaginate di essere l’unica persona nera nel raggio di chilometri. La storia che ne trarrete non sarà particolarmente idilliaca. Comincia quella serie incessante di domande a cui Espérance deve rispondere e che ancora oggi a trent’anni, dopo aver lasciato Brescia, studiato a Trento e trovato casa e lavoro a Torino, la insegue.

Per quale ragione parli così bene l’italiano?

Come sei riuscita a frequentare l’università?

D’accordo, sei cresciuta in Italia, ma di dove sei veramente?

 

CORPO DI DONNA NERA

Nella girandola di emozioni che si susseguono tra infanzia e adolescenza, l’autrice comincia a prendere coscienza della diversità della sua pelle e della costante estraneità che prova nei confronti di chi la circonda ogni giorno.

Il corpo di Espérance, diviso tra due continenti, sradicato e trapiantato lontanissimo, è senza punti di riferimento, completamente smarrito e non riconosciuto da nessuno. Il senso di appartenenza a qualcosa, a qualcuno, è perduto per sempre. Oltre a ciò, percepisce la costante sensazione di essere in pericolo. In pericolo in quanto donna. In pericolo in quanto nera. In pericolo in quanto donna e nera.

Razzismo e sessismo si fondono in un solo corpo provocando le angosce peggiori che prendono definitivamente forma la mattina del 3 febbraio 2018 quando Luca Traini a Macerata apre il fuoco e ferisce sei immigrati.

Strage aggravata dalla finalità di razzismo, dirà la Procura della Repubblica della città marchigiana. Caso isolato, continua a ripetere chi, ancora lo scorso 24 marzo di fronte alla conferma della Cassazione a 12 anni di reclusione per l’attentatore, non crede che in Italia esistano discriminazioni e violenze specificatamente legate al colore della pelle.

 

E POI BASTA

Il libro di Espérance racconta questo e molto di più, tanto che viene difficile, se non impossibile, inserirlo in un genere narrativo preciso. I ricordi, le emozioni, le riflessioni della scrittrice si fondono in un continuo flusso di coscienza senza principio né fine.

Non si tratta di una lettura facile, né per i contenuti, scomodi e pruriginosi per un lettore bianco, né per il tipo di scrittura scelta, nella quale bisogna abbandonarsi e lasciarsi completamente guidare dall’autrice, né per la carica emotiva che trasuda da ogni pagina.

Il dolore di quelle domande continua a pungere come spilli sulla pelle e non diminuirà mai anche se poniamo quesiti diversi. Allora forse è giunto il momento di smettere di domandare e mettersi in ascolto sincero, accogliere quello che ci viene spontaneamente raccontato e abbandonare quella ricerca ossessiva di risposte nei confronti delle quali non abbiamo alcun diritto.