Quando si parla di femminismo il rischio di essere fraintesi è sempre in agguato. Forse perché nell’immaginario collettivo viene subito da pensare a donne che odiano gli uomini, detestano farsi la ceretta, indossare il reggiseno e il cui unico obiettivo è ribaltare i poteri decretando la fine del genere maschile.
Niente di più sbagliato. O meglio, se molti di noi oggi hanno questa idea di femminismo un po’ è colpa di certe femministe. Ma andiamo con ordine.
Quando pensiamo al termine femminismo, il collegamento logico che potrebbe venire in mente è quello con il maschilismo. E se il maschilismo è una forma di sessismo che sostiene la superiorità dell’uomo rispetto alla donna, viene da pensare che il femminismo sarà la stessa cosa, ma all’opposto. Risposta sbagliata.
Quando si parla di femminismo, si intende sostenere la parità politica, sociale ed economica dei sessi. Il che non vuol dire uguaglianza, banalmente perché uomini e donne non sono uguali. Essi, invece, sono pari proprio perché tutti abbiamo gli stessi diritti e la stessa dignità.
Allora perché lo chiamiamo femminismo se il suo significato è tutt’altro? Proprio perché questa parola è profondamente legata alle lotte di rivendicazione femminile che ci sono state nel passato e cambiarla vorrebbe dire dimenticarsi delle radici da cui proviene.
E qui giungiamo a un altro nodo fondamentale dell’argomento femminismo: la sua storia. Sì, perché il femminismo è cambiato negli anni, sono cambiati gli obiettivi mano a mano che certi diritti venivano raggiunti. Per questo parliamo di ondate del femminismo. Vediamole insieme.
Prima e seconda ondata
Tutto ebbe inizio tra fine ‘800 e inizio ‘900 con un movimento che tutti conosciamo, quello delle suffragette, e l’obiettivo ai tempi era il diritto di voto. Nel secondo dopoguerra, principalmente durante gli anni ’60, le rivendicazioni rivolsero la loro attenzione al corpo e alla vita della donna in generale, si pensi alla lotta per l’aborto e il divorzio.
In quegli anni prese forma la consapevolezza che la donna fosse un essere decisamente più complesso rispetto alla riduttiva dicotomia tra santa e prostituta nella quale si era sempre cercato di rinchiuderla. Le donne erano molto di più.
Entrambe queste prime due ondate si caratterizzarono come un movimento prettamente femminile, fatto da donne che combattevano per le donne, con le donne.
Terza ondata
Durante gli anni ’90 si assistette all’ondata di quello che è stato definito girl power, vale a dire un femminismo improntato alla rivendicazione dell’indipendenza e del potere femminile. Centrale in questi anni fu la musica, con la comparsa sulla scena di band esclusivamente femminili, da quelle più punk-rock come le Bikini Kill a quelle pop come le Spice Girls e le Destiny’s Child.
Fu soprattutto in questo periodo che le donne cominciarono a svolgere tutte quelle attività un tempo esclusivamente maschili. Ne derivò una messa in discussione del ruolo dell’uomo, ormai demascolinizzato e disorientato su quale fosse il suo posto se ormai questo poteva essere occupato dalle donne, le quali, a loro volta, lasciavano un vuoto in quello che era sempre stato il loro ruolo nella società.
La terza ondata si caratterizzò ancora come un movimento prettamente femminile, ma che cominciò a spostare l’attenzione anche su altre donne. Se, infatti, precedentemente ci si era rivolti solo verso un certo tipo di donne (bianche, cattoliche e appartenenti alla classe media), durante la terza ondata lo sguardo si posò sulla condizione di quelle donne appartenenti a una minoranza (etnica, religiosa, di classe sociale, di orientamento sessuale, di identità di genere).
Ci si rese conto che le loro condizioni erano ancora più indietro rispetto a quelle di altre donne che, per quanto discriminate, si trovavano comunque in una condizione privilegiata per il semplice fatto di essere nate in Occidente.
Da qui, con il cosiddetto femminismo intersezionale, nacque la consapevolezza che fosse necessario occuparsi anche di tutte quelle discriminazioni che non hanno un diretto effetto sulla nostra persona, ma che bisogna combattere per il semplice fatto che è giusto farlo.
Quarta ondata
È quella in cui ci troviamo attualmente e in cui è avvenuto il cambiamento più importante e decisivo per il movimento femminista. È con la quarta ondata, infatti, che si è cominciato a dialogare con uomini. Il femminismo li riguarda da vicino perché se un uomo si batte per i diritti delle donne è decisamente più credibile, proprio perché non lo sta facendo per un interesse personale, ma perché è giusto.
È con i tempi attuali che ci si è resi conto che gli uomini non possono rimanere esclusi da questa discussione perché se si vuole davvero arrivare alla parità tutti devono essere coinvolti e devono essere liberi di essere se stessi.
Cosa ci riserva il futuro?
Abbiamo fatto molto in più di un secolo di lotte e rivendicazioni. Molti obiettivi sono stati raggiunti, molte cose sono cambiate dalla situazione iniziale. Ma non basta.
L’intento al momento è di andare ancora più avanti, di non fermarsi, di entrare in una auspicata quinta ondata dove semplicemente ci saranno persone che si occuperanno di persone, dove si parlerà di persone, dove ci si aiuterà tra persone. Senza distinzioni di sorta.
E qui torniamo alla domanda iniziale: avrebbe ancora senso definire tutto ciò femminismo? Continuare a usare un termine così problematico e fraintendibile oppure restare legati alle radici? Una risposta univoca non c’è ancora. Quello che possiamo dire è che il femminismo conviene e fa bene a tutti.
Proprio come disse la scrittrice nigeriana Chimamanda Ngozi Adichie durante una conferenza, tenuta nel dicembre del 2012 per TEDxEuston e poi diventata un libro, “We should all be feminist”, dovremmo essere tutti femministi.