16 marzo 1978, ore 9
«Quel mattino fu come se il tempo si fosse fermato. Un’amica era venuta ad aspettarmi al portone di casa per andare a scuola insieme. Scesi le scale, aprii. “È successa una cosa terribile – mi disse- hanno rapito Moro”. Vedemmo scene di madri che riportavano i figli a casa da scuola, di gente pietrificata che non andava a lavorare. I professori in aula non riuscivano parlare. Un silenzio irreale di morte stringeva tutto».
Così mia madre mi descriveva la mattina dell’imboscata e del rapimento.
Un proscenio di fantasmi
Sei atti che hanno registrato un boom di ascolti. I giovani sono stati catapultati in un periodo che conoscono pochissimo, i meno giovani hanno rivissuto il grigiore e la paura di quegli anni in cui non passava un giorno senza un omicidio, un rapimento o un gambizzato. È in questa atmosfera che Bellocchio fa rivivere e interroga i suoi lividi fantasmi: un ambiguo Andreotti che non si piega in nome della fantomatica ragion di Stato; un bipolare, impotente, Cossiga; un Paolo VI schiacciato dal peso dei suoi 80 anni e dall’incertezza.
Dietro le quinte di questa tragedia torreggia Moro, l’innocente agnello sacrificale, che si avvia alla crocifissione sotto lo sguardo traditore del suo partito e delle istituzioni. I boia non sfuggono all’occhio del regista: nella loro incomprensibile, proterva, ottusità, le BR perdono qualsiasi legittimazione. Una masnada di fanatici senza pietà o raziocinio. Saranno loro a scrivere la fine dell’agnello, ma quel sangue schizzerà anche e soprattutto sul Paese.
Un nuovo volto per Noretta Moro. La nuova Antigone?
Noretta e Antigone sono due facce della stessa medaglia, due coraggiose che non si piegano alle leggi, ingiuste, degli uomini e fanno appello a quelle, eterne, dell’amore. Le ragioni del cuore sono più forti della ragion di Stato. Eleonora (interpretata da Margherita Buy) lotta, grida, protesta, tenta ogni mezzo per salvare il suo uomo e impedire che la famiglia si sfaldi. È una donna ferita dall’indifferenza di una classe dirigente che deve la propria sopravvivenza al marito. Bellocchio restituisce finalmente al pubblico un buon ritratto della sua figura, rimasta per anni in silenzio. È l’amore di questa donna il vero protagonista della quinta puntata.
Una catarsi che non riesce
Se la tragedia è mimesi di “un’azione seria e compiuta”, la catarsi è la purificazione dalle passioni che essa suscita. Ma quella purificazione per l’Italia non si è verificata. Lo dimostra la fretta del Pese di chiudere la partita con Moro, consegnandone la memoria a qualche targa o formale commemorazione. L’importante era voltare pagina e dimenticare gli Anni di piombo. E la verità storica? Beh, pazienza. Bellocchio ci ricorda che i fantasmi della nostra Repubblica si dibattono ancora, inquieti, un passo dietro di noi.