Recentemente l’Europa non sta vivendo uno dei suoi momenti migliori. Numerose minacce, tanto interne, quanto esterne, la conducono a un continuo stato di incertezza economica, sociale e politica. Questa situazione porta molti, o quantomeno dovrebbe portare molti, a riflette sul futuro dell’istituzione principale del vecchio continente, l’Unione Europea.
La mia posizione e le mie limitate conoscenze in campo di scienze politiche e istituzioni sovranazionali non mi permettono di andare a delineare un papabile percorso di sviluppo del progetto europeo. Tuttavia, da cittadino mi sono sentito in dovere di riflettere sulla questione.
Il futuro della UE è un all-in sulle sfide del medio e lungo periodo. Parafrasando quest’ultima frase, il destino dell’Unione dipende dalla sua stessa capacità di affrontare e interpretare le sfide e le problematiche emerse nel secondo decennio degli anni 2000, proponendo soluzioni concrete e percettibili. Tra queste sfide, quella della lotta all’emergenza climatica, il fenomeno delle migrazioni di massa, il più recente Coronavirus ma soprattutto, quella che probabilmente è la più importante di tutte, la necessità di assottigliare le disuguaglianze generate da anni di globalizzazione e finanziarizzazione dei sistemi economici.
Un esempio di risposta soddisfacente è quella data la settimana scorsa alla Grecia, obbligata a gestire un’onda incontrollata di migranti dovuta all’apertura da parte della Turchia delle proprie frontiere che danno sull’Europa. La commissione, il parlamento e i più alti organi hanno risposto in modo coeso dimostrando vicinanza ai fratelli Ellenici.
Al contrario, relativamente alla gestione della crisi sanitaria dovuta al Coronavirus, l’UE si è dimostrata decisamente inefficiente. Al di là delle parole, a conti fatti non vi è stato un impegno concreto a sostegno dell’Italia se non in materia di Bilancio. Anche la BCE, in particolare la sua presidente Lagarde, ha più che altro danneggiato l’Italia con affermazioni infelici, poco rassicuranti e dimostrative di solidarietà.
Questo, in fin dei conti, è esattamente il punto cruciale che deciderà il successo o l’insuccesso dell’unione. L’UE è chiamata a rispondere a tutte le sfide presenti e future con spirito di solidarietà, coesione, concretezza nei fatti. Dimostrandosi presente e vicina a tutto, anche alle problematiche dei territori più periferici dell’Unione, potrà intensificare il senso di vicinanza al cittadino oltre che attenuare o addirittura sgonfiare i movimenti antieuropeisti e sovranisti.
La contrapposizione di fatti concreti e un accresciuto senso di vicinanza e appartenenza da parte dei suoi popoli aiuterà a smontare la dialettica sovranista che nel concreto, seppur negato dai rispettivi leader, si basa su un dualismo manicheo “noi = nazione = buoni” “Europa = loro = cattivi” piuttosto che su una volontà di delineare un concreto progetto di riforma dell’Unione.
Per fare ciò però è necessario che l’UE agisca subito e bene. Il Coronavirus, ad esempio, è una buona occasione, ma fino ad ora giocata male. Non ci resta che aspettare e vedere se saprà recuperare.