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Fabio Rovazzi, elogio della cultura pop

Un underdog di successo

Era il 28 febbraio 2016 quando Fabio Piccolrovazzi, conosciuto ai più come Fabio Rovazzi, pubblicava la sua prima canzone su youtube.

Dopo poco tempo il video, che contava la presenza di J-Ax, Fedez, e noti youtubers, sarebbe diventato virale e destinato a divenire un tormentone estivo.

Oggi, nel luglio 2018, Rovazzi ha pubblicato un altro prodotto, che lo inserisce ancor più fortemente nel panorama pop italiano (pur non sapendo cantare).

Il video è tecnicamente ben studiato e realizzato: la timeline è chiara e nulla è lasciato al caso. Esso mira ad avere un target molto ampio, grazie alla presenza di varie personalità dello spettacolo e dell’intrattenimento digitale, da Al Bano allo youtuber Luis Sal, per conquistare sia l’anziano che il ragazzino.

Già dalla sua prima canzone Rovazzi è riuscito a costruirsi un’immagine pubblica come ragazzo umile e fortemente ironico ed autoironico (come i suoi video). Appare in grado di riconoscere i suoi limiti, la sua mancanza di talento canoro, ma anche le proprie capacità come videomaker, regista e profondo conoscitore del web.

Difatti, i suoi lavori multimediali, soprattutto l’ultimo, attingono al mondo dei meme e del mainstream, tessendo una fitta rete di citazioni.

È capace di costruire trame semplici, ma non banali. Si circonda di persone esperte che lo aiutano dal punto di vista tecnico ed ogni vip che collabora con lui rimane sempre sé stesso. Non è né banalizzato né edulcorato.

Rovazzi da l’impressione di essere, come ha detto lo youtuber Barbaroffa, un “Underdog”, ovvero una persona svantaggiata che sa di vivere in tale condizione e maschera le proprie vittorie come sconfitte.

Come dice lui stesso, il testo della canzone non è importante. Lo sono invece la trama, il motivetto orecchiabile, la presenza di personaggi famosi e il continuo filo ironico che unisce tutti i suoi prodotti.

I suoi video sono quindi, allo stesso tempo, inseriti sia nel mondo pop commerciale (complici anche la miriade di product placement presenti), sia in un’ottica visionaria in grado di convogliare le forze e le persone più lontane per creare un intrattenimento multigenerazionale capace di diventare virale e attraverso cui ognuno può avere i propri 15 minuti di celebrità.

La critica, almeno quella più esplicita, lascia spazio (o meglio è appiattita) alla creatività del montaggio e della regia, al divertimento e alla leggerezza.

Rovazzi è quindi la perfetta espressione dello spirito dionisiaco contemporaneo, nella sua forma più semplice e superficiale. Risulta un attimo di ebbrezza in grado di generare un’unione fra mondi contrapposti e lontani, pur facendo parte dello stesso modello culturale generalizzato.

In tale situazione, tutto è compresso su un livello culturale triviale, alla portata di chiunque. Qui la neutralità di opinione regna sovrana e la fruizione dell’opera è di per sé insignificante in vista di qualunque obiettivo valoriale.

La cosa veramente importante è avere qualcuno che parli il nostro linguaggio, che parli di noi, e conosca il copione della nostra generazione per farci volgere lo sguardo altrove e sottrarci al caos generalizzato della società massificata e postmoderna. Non per tentare di cambiarla ma per esserne, a tutti gli effetti, parte integrante.