Troppo spesso dopo aver studiato Leopardi a scuola la bolliamo come “bigotta”, “anaffettiva” e “tirannica”. Ma Adelaide Antici-Leopardi chi fu davvero? Fu quella madre fredda e dispotica che emerge, per esempio, dal film Il giovane favoloso? Cerchiamo di capire un po’ meglio questa figura così presente, eppure così lontana, nei lavori e nella vita dell’illustre primogenito Giacomo.
Il 27 settembre 1797, a quasi 19 anni, sposa Monaldo Leopardi, di due anni più anziano. Si erano conosciuti lo scorso giugno e tra i due era sbocciato subito un forte sentimento.
La madre di Monaldo, Virginia, non è disposta a concedere il consenso ai fidanzati per una causa giudiziaria (legata ad alcuni terreni contesi) che in quel momento oppone le due nobili famiglie.
Monaldo, innamorato della bella Adelaide, “fanciulla di bellezza severa, da gli occhi di zaffiro splendenti e intelligenti”, insiste e strappa l’assenso materno. Adelaide, educata all’austera religiosità settecentesca, di poche letture profane e di rigidi costumi, entra come contessa consorte a palazzo Leopardi, guardata con diffidenza dalla famiglia del marito. L’anno successivo dopo un parto difficile nasce il primogenito Giacomo.
Adelaide: una donna di polso
Nel 1803, in seguito al dissesto finanziario dovuto alla scarsa propensione amministrativa del marito, assume personalmente il controllo patrimoniale della famiglia, salvando il marito dai debiti e dal disonore. La contessa, che pure si sforza di mantenere il decoro adeguato, impone un regime rigoroso di risparmio. È lei ora a far da madre, moglie e amministratrice.
A 25 anni e con tre figli piccoli (un quarto è morto a pochi giorni) si sente schiacciata da queste enormi responsabilità. Il suo carattere, già di natura severo e malinconico, si chiude ancora di più nella sfera del silenzio, dell’affetto contenuto e della rigidità morale. La contessa, dirà Paolina anni dopo in una lettera, è «una persona ultra-rigorista, un vero eccesso di perfezione cristiana, la quale non potete immaginarvi quanta dose di severità metta in tutti i dettagli della vita domestica». Nei dodici anni successivi Adelaide avrà altre otto gravidanze, patendo aborti e morti premature. Dei dieci figli nati solo due le sopravviveranno.
L’interdizione di Monaldo è decretata fino al 1820, ma nei fatti il controllo dei beni della famiglia rimane alla contessa. Monaldo, che si dedica anima e corpo alla cultura e all’educazione dei figli, ne è ben contento. Grazie al regime economico imposto, che non ha impedito di arricchire la biblioteca, stipendiare i precettori dei figli e la servitù, in un trentennio la famiglia rientra del debito (ammontava a 33000 scudi) e l’antica situazione di benessere è ripristinata, a detta di Monaldo «senza avere nessuna eredità, senza trovare ripostini, senza vincere al lotto, senza commerciare e senza sottoporsi a rigorose privazioni, ma solo per la buona e moderata economia di Adelaide mia moglie, la quale è stata il restauro e la benedizione della nostra casa».
In questo contesto, come deve essere stato il rapporto con i figli e soprattutto con Giacomo?
In generale si ritiene che sia suo il ritratto impietoso della madre di famiglia nella pagina dello Zibaldone del 25 novembre 1820, cioè quello della madre che «non solamente non compiangeva quei genitori che perdevano i loro figli bambini, ma gl’invidiava intimamente e sinceramente, perché questi eran volati al paradiso senza pericoli, e avevan liberato i genitori dall’incomodo di mantenerli».
Una visione rigidamente dogmatica che testimonia la reazione della contessa ai dispiaceri che aveva già vissuto e forse anticipa il “vero” leopardiano slegato da qualsiasi illusione. Nulla comunque della gioia di una fede cristiana correttamente interpretata. Poco spazio ai sentimenti materni.
È certo tuttavia che quella della contessa fosse una fede sincera e profonda, ma a volte, per la rigidità con cui l’applicava, rasentava il parossismo. Ne è un esempio ciò che diceva ai figli in merito ai difetti fisici e alle disgrazie, cioè di esserne contenti e di non nasconderli, ritenendo questo un modo «per liberarli dai pericoli dell’anima», cioè le tentazioni, soprattutto quelle legate alla carne e alla vanagloria.
Affetto?
Poco e contenuto. Adelaide aveva un modo tutto suo per dimostrarlo: il controllo. Voleva sempre sapere ciò che i figli facevano, i rapporti che intrattenevano e il suo sguardo li seguiva ovunque. Gli occhi erano le sue carezze, i suoi baci e i suoi abbracci.
Con Giacomo ci fu da subito incomunicabilità.
L’Epistolario abbonda di lettere indirizzate a Monaldo, scarsissime invece quelle alla madre.
“Nelle sporadiche apparizioni lungo il corso delle Lettere Adelaide Antici viene continuamente pregata di capire, come se ogni suo gesto anche benigno fosse avulso da capacità di comprensione”.
La difficoltà dei due a comprendersi risiede proprio nel silenzio epistolare sorto dopo la partenza del poeta. Come Leopardi allude a un affetto che la mamma dovrebbe conoscere, così “a un reciproco sapere recondito si richiama la madre nel suo unico messaggio tramandato:
«Sapete quanto io vi amo sinceramente e qual spina mi sia stata al cuore il vedervi sempre malcontento e di mal’umore». Adelaide […] però diffida anche della scrittura, preferendo che i rapporti con lei passino per Monaldo” (R. Damiani).
Sarà forse per questo motivo che, alcuni mesi dopo questo messaggio, nella lettera del 22 gennaio 1823 alla madre Leopardi annota «Io mi ricordo ch’Ella quasi mi proibì di scriverle, ma intanto non vorrei che pian piano Ella si scordasse di me».
A tutt’oggi comunque non si conosce esattamente il motivo del divieto materno. Una presa d’atto delle loro difficoltà a intendersi?
Che cosa pensava dell’attività letteraria del figlio?
Di quel che pensasse Adelaide riguardo all’attività letteraria del figlio non conosciamo molto. È probabile che la disapprovasse alquanto, almeno per i contenuti agnostici sviluppati nel corso del tempo da Giacomo, che non si conciliavano con la sua rocciosa fede cattolica.
Sappiamo che alla «Signora Madre», cui in casa competeva una personale bibliotechina “rigorosamente devozionale”, che Giacomo tra le righe critica in una lettera giovanile, il quasi undicenne Leopardi dedicò nel 1809 L’entrata di Gesù in Gerosolima, una «Prosa alla mia genitrice composta a sua richiesta nel giorno della Domenica degli Ulivi».
Fu lei però nel 1819 a pagare le spese di pubblicazione delle due canzoni All’Italia e Sopra il monumento di Dante vendendo alcuni suoi gioielli. Nel 1832, trovandosi in gravi ristrettezze economiche, Giacomo fu “obbligato” a scrivere a lei e non a Monaldo, domandando un mensile di «12 francesconi» che ella provvide a concedergli.
Non è quindi che alla contessa non importasse di quel figlio che tanto faticava a comprendere ma forse, benché a modo suo, non ad amare.
Madre e figlio complessi, il loro fu un rapporto basato sul non detto. Le parole, i discorsi d’amore e di contrasto che una madre e un figlio hanno, Adelaide e Giacomo se li scambiarono sempre in silenzio.