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I giovani d’oggi

Come la società tratta i giovani e quali prospettive offre loro

Per l’ennesima volta ho udito la filastrocca “Non è il lavoro che manca, sono i giovani che non vogliono lavorare” e per l’ennesima volta ho cercato di contenere tutta la mia contrarietà, riservandomi si stilare a mente fredda una risposta chiara e ben articolata. Ho riflettuto sulla attuale crisi dei giovani e mi sono posto tre domande.

 

Sono i giovani d’oggi a essere peggiori di quelli di ieri?

No. È proprio di ogni epoca che le vecchie generazioni critichino le nuove e più o meno sempre in questi termini. Già al tempo di Cicerone ci si lamentava della corruzione dei costumi e della dissolutezza dei giovani di buona famiglia che avrebbero tanto volentieri portato in tribunale un patrizio, solitamente ben più vizioso di loro, pur di ottenere la fama necessaria ad intraprendere una brillante carriera pubblica. Eppure, era esattamente così che avevano cominciato la loro ascesa quegli uomini che ora disapprovano quel metodo. Che c’è di strano dunque se la generazione precedente, consapevole o no della propria invidia nei confronti del “sole nascente”, lo considera peggiore di sé? Nulla, è la prassi. Evidentemente fa parte di questo pensiero considerare i giovani più pigri dei loro padri e nonni.

 

Che c’entrano scuola, società e famiglia con la crisi dei giovani?

Il problema è un altro. Quando la società, la nostra società, quella italiana, avverte i giovani come un peso e li tratta come adolescenti fino all’età di trent’anni, non può avere futuro. I giovani tra i 19 e i 25 anni possiedono potenzialità creative e intellettive straordinarie, ma le aziende, per esempio, preferiscono assegnare loro incarichi la cui massima responsabilità arriva alle fotocopie, per non parlare della paga miserabile. Ecco perché spesso per realizzarsi un giovane di talento è costretto a emigrare. La scuola invece li erudisce o li forma? Li considera recipienti vuoti da riempire di nozioni o persone con sentimenti da forgiare? Ai posteri l’ardua sentenza. Il filosofo Galimberti giustamente ricorda che nel DNA umano sono scritte le pulsioni, non i sentimenti. Mentre gli antichi apprendevano i sentimenti dalla mitologia, l’uomo di oggi li attinge dalla letteratura e dall’educazione che riceve. Il problema riaffiora perché i genitori di oggi hanno abdicato al ruolo di educatori, preferiscono fare gli “amici” dei loro figli. Niente di peggio. I giovani hanno bisogno di guide solide, certe, che li riprendano quando sbagliano, che costituiscano un esempio di condotta (anche con i loro errori) e insegnino loro che le azioni hanno un peso e una gravità. Ecco perché a volte accade che un adolescente non capisca la differenza che intercorre tra umiliare un docente e prendere un caffè.

 

Quali prospettive (o paure) offre il futuro ai giovani?

Il mondo che le generazioni passate consegnano ai giovani di oggi è indiscutibilmente peggiore di quello che esse hanno ricevuto. È un mondo più sfruttato, più malato, più fragile. Anche i cambiamenti climatici contribuiscono al carico di angoscia che già grava sulle nuove generazioni, soprattutto dopo la pandemia. È difficile mantenere speranze e serenità in queste condizioni. È difficile vivere con un futuro rubato. Non per nulla il tasso di suicidio giovanile (di cui troppo poco si parla) è aumentato esponenzialmente. La società si rifiuta ancora di ammettere completamente questo problema, altrimenti non tratterebbe così i giovani. Forse lo farà quando mancheranno le braccia che la sostengono.