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I M SCUDETTO

Dopo undici anni, l'Inter torna a essere campione d'Italia

MILANO, 2 MAGGIO 2021, H. 16.25

Salgo in fretta i gradini della metropolitana che mi separano da Piazza del Duomo. Uno sguardo rapido alla solennità della cattedrale e subito estraggo le cuffie dalla tasca, le collego al cellulare e mi sintonizzo sulle frequenze di Rai Radio 1. In treno prima e in metropolitana dopo, non avevo avuto modo di seguire Sassuolo-Atalanta in diretta ma ora, mentre il passo e il battito sono accelerati dal pathos, riesco ad ascoltare la telecronaca degli ultimi venti minuti.
Lo scenario è semplice: se la squadra bergamasca NON vince a Reggio Emilia, la mia Inter è…no…finché non è ufficiale non intendo né dirlo, né pensarlo.

Settantaquattresimo minuto di gara: il punteggio è di 1-1 e un calcio di rigore viene assegnato all’Atalanta! Sbuffando mi consolo ricordandomi che ormai la vittoria dello scudetto è solo una formalità; se la matematica non ce lo consegna oggi, lo farà tra una settimana. Certo, mi scoccerebbe aver affrontato questo viaggio per niente.
Ma il destino aveva deciso di premiare il mio azzardo impulsivo di correre alla stazione e acquistare un biglietto per Milano Centrale, senza pensarci troppo, col rischio di scendere dal treno e, solo un’ora dopo, veder svanire la reale motivazione che mi aveva condotto lì. Il portiere del Sassuolo respinge coi piedi la conclusione di Luis Muriel, sulla ribattuta il pallone rimane nella disponibilità dell’attaccante colombiano che potrebbe spedirlo nella porta semi-sguarnita ma scivola e la sfera viene allontanata!

Il mio corpo compie uno scatto che non sono in grado di controllare e, per evitare di disturbare anzitempo gli ultimi scampoli di quella precaria quiete domenicale, porto le mani a coprirmi la bocca.
C’è il Sole, la città è attraente, in strada c’è già tanta gente che la anima. Mi godrò tutto tra un quarto d’ora, per ora continuo a camminare col cuore in gola e lo sguardo basso.
Dall’ultima volta sono passati undici anni, allora frequentavo la prima media, eppure questi restanti dieci minuti di attesa sembrano durare doppio, questi ultimi cinque pesano il triplo. Fino a che, a un certo momento, la voce del telecronista cambia tono, si svincola dalla narrazione della partita appena conclusasi e annuncia: “Attenzione, l’Inter è campione d’Italia per la diciannovesima volta!”.

Mi trovo nell’epicentro dell’interismo undici anni dopo aver provato quella medesima sensazione. Nel frattempo è cambiato il mondo fuori di me e soprattutto quello che ho dentro. Eppure ho tenuto protetta per tutto questo tempo un’emozione essenzialmente sempre identica a sé stessa, l’emozione della vittoria che da bambino ho percepito estasiante e che ho deciso di conservare da qualche parte per poterla rivivere; non importa quanto avrei dovuto aspettare, non importa quante delusioni calcistiche avrei dovuto sopportare nel frattempo.

UNA LUNGA ATTESA

Dopo la stagione 2009-10, quella al termine della quale l’Inter vinse tutto il vincibile, si sono susseguite stagioni drammatiche costellate da profonda discontinuità di rendimento e decrescente autostima dell’ambiente nerazzurro. I calciatori acquistati durante le sessioni estive del calciomercato, e nei quali i tifosi riponevano speranze di rilancio, si dimostravano puntualmente demotivati, svogliati e privi di senso di appartenenza. Gli allenatori venuti dopo José Mourinho raramente si sono rivelati all’altezza e in grado di tenere in pugno un gruppo squadra costantemente disunito. Ne sono seguiti risultati stagionali imbarazzanti e la vana illusione estiva che l’anno seguente qualcosa sarebbe cambiato in meglio.

A seguito di circa sette anni di scoramento, la stagione 2017-18 regala uno scossone: la proprietà dell’Inter passa all’ambiziosa famiglia cinese Zhang e il nuovo allenatore è Luciano Spalletti: sarà lui a plasmare una squadra finalmente capace di piazzarsi al quarto posto, per due stagioni di fila, e quindi essere ammessa alla Champions League della stagione successiva.

ANTONIO CONTE

La mattina del 31 maggio 2019 l’Inter pubblica, sui suoi profili social, un video che annuncia Antonio Conte come nuovo tecnico. La voce fuoricampo dell’allenatore leccese scandisce i suoi pensieri mentre in auto si sta dirigendo presso l’ufficio del presidente Steven Zhang per firmare il contratto.
La frase “I tifosi si staranno domandando perché proprio io” è emblematica del misto di entusiasmo e imbarazzo che i tifosi interisti provavano in quel momento: la consapevolezza di essere ora allenati da uno dei tecnici migliori al mondo faceva a botte col ricordo del suo pesante passato juventino, prima da giocatore e poi da allenatore.

Ci è voluto poco tempo perché i tifosi comprendessero e accettassero il profondo individualismo di Conte, la sua necessità di mantenersi emotivamente indipendente da qualsiasi piazza. Il suo approdo a una società avviene per accidens e il vincolo non si basa sull’amore bensì sul reciproco interesse delle parti. Calcisticamente Antonio Conte non si impegna mai in uno sposalizio, instaura piuttosto fidanzamenti destinati a essere sciolti non prima di esserseli goduti fino alla fine.
Conte è esigenza di vincere, mezzi per riuscirci e orgoglio indomabile come motore vivificante del suo lavoro.

Dunque, la scelta di approdare all’Inter può essere compresa in quest’ottica: dopo tre scudetti vinti con la Juventus (i primi dopo la Serie B), Conte ha lasciato il club bianconero per divergenze sorte con la società, ma il ciclo vincente della Juve è proseguito per altri cinque anni con Massimiliano Allegri alla guida della squadra.
Quale migliore occasione per concludere ciò che proprio da Conte era cominciato senza che nessun altro, fino ad allora, riuscisse a uccidere la sua creatura? Farlo alla guida dell’Inter avrebbe aggiunto clamore a una già eclatante chiusura del cerchio.

Antonio Conte

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INTER 2020-21

Dopo la prima annata contiana, con un secondo posto in Serie A e una finale di Europa League persa, i tempi sembrano essere maturi.

Il 3-5-2 è il modulo in base ai cui automatismi il mister adatta le specificità dei calciatori a sua disposizione: a protezione del portiere e capitano Handanovic, i titolari invalicabili della linea difensiva sono De Vrij, Skriniar e Bastoni, quest’ultimo giovanissimo ma non meno performante dei suoi compagni di reparto.

Il play-maker della squadra è Brozovic, mente del centrocampo. Ai suoi lati agiscono Barella, il miglior centrocampista italiano, ed Eriksen, giocatore di rara qualità e che progressivamente diventa imprescindibile per Conte.
Fondamentale poi il ruolo degli esterni alti, deputati a supportare i difensori in fase di copertura e di costruzione dal basso, quanto a fungere da frecce offensive quando si attacca, dialogando con centrocampisti e attaccanti: data la dispendiosità del ruolo, sulla destra si alterneranno Hakimi e Darmian, sulla sinistra Young e Perisic.

Per quanto riguarda i due attaccanti titolari, è Romelu Lukaku il bomber della squadra: incredibilmente prolifico in fase realizzativa, immarcabile, capace di abbassarsi sulla trequarti per difendere il pallone con la sua stazza titanica e far così salire i compagni. Il suo parter di reparto è Lautaro ‘el Toro’ Martinez, mai domo, svelto ad approfittare di ogni centimetro concessogli dalle difese avversarie, svelto a puntare l’area di rigore.

La prima metà della stagione 2020-21 è contrassegnata da dodici vittorie ma i pareggi (5) e le sconfitte (2) sono ancora troppi: al giro di boa, è il Milan a essere in testa.
Contestualmente, l’Inter non supera il primo turno di Champions: la delusione sarà però convertita nella determinazione di sfruttare l’intera settimana di allenamento per preparare dettagliatamente le gare di campionato. Vincere la Serie A è ora l’obiettivo imprescindibile e innegabile.

Così dopo la vittoria dell’Inter a Crotone, l’ultima gara giocata senza lo scudetto virtualmente cucito sul petto, nel girone di ritorno le vittorie sono tredici, i pareggi due e non si contano sconfitte.
Il Milan era stato superato repentinamente al primo posto e, per tutta la seconda fase del campionato, l’Inter incrementa un distacco sempre più incolmabile.
Dopo il 2-0 inflitto ai calabresi, allora, si attende il risultato di Sassuolo-Atalanta, in programma il giorno successivo: uno dei tanti match point a disposizione, da lì in avanti, per poter festeggiare il tricolore.

MILANO, 2 MAGGIO 2021, H. 17.30

Piazza del Duomo è una marea nerazzurra. Su trentamila persone, di sesso ed età differenti, chissà quanta eterogeneità di abitudini, di idee, di provenienza, di gusti, di passioni extracalcistiche, di sogni, di condizioni socio-economiche…eppure erano tutti lì indossando una maglia nerazzurra, avvolti in una bandiera o con una sciarpa sulle spalle. Tante vite che scorrono parallele lungo l’asse dell’attesa e che si intersecano nel punto in cui quell’attesa si esaurisce. Si intrecciano e si confondono cori, rumori di clacson, sventolii di cimeli: alla vista si materializza quell’abbinamento di colori nei quali, sospinto dalla spontaneità infantile, tanti anni fa ci si è identificati. Un abbinamento cromatico che ora mi esplodeva davanti agli occhi in un gioioso e spettacolare tripudio.

Ed è così che, quando intorno a sé si origlia un gruppo di ragazzi che si dice dispiaciuto per non essere dotato neanche di un gadget dell’Inter (perché non si aspettavano di dover festeggiare proprio quel giorno), viene spontaneo togliersi la sciarpa e regalarla.
Capita di parlare con un bambino, felice per il primo scudetto che vede vincere dalla sua squadra, e consigliargli di godersi il qui e ora perché non è affatto scontato che ricapiti presto. Ma che, in fondo, più lo si attende e più è bello.

Familiarizzare con un signore sulla sessantina che ride e scherza insieme a te, felice come un bimbo il giorno del suo compleanno, e poi sentirti accennare, nel mezzo di un discorso che riguardava altro, alcuni dettagli drammatici della sua vita. E rifletti sul fatto che, almeno per un momento, non ci stava pensando.

Vorresti abbracciare il primo che ti capita, ma non lo fai perché non potresti sfiorare nessuno, non devi mai abbassare la mascherina e, una volta tornato a casa, ti autoimponi l’isolamento (con buona pace del moralismo apatico e ipocrita).