Siamo abituati a vedere il cinema italiano con scetticismo, pressappochismo. Preferiamo il cinema-svago, quello del sabato, dei popcorn e del fiato sospeso per battaglie epiche. Ma il film di Alessio Cremonini, frutto di una ricostruzione lunga e minuziosa del caso Cucchi, ci impone una visione attenta. Ci obbliga a riflettere su ogni scena, perché di fictional c’è ben poco. Questa è, purtroppo, la triste vicenda di un trentunenne che potrebbe essere qualsiasi altro detenuto.
“Sulla mia pelle”
Stefano siamo noi, quando durante il film ci sentiamo stringere lo stomaco da una morsa di amarezza nella cella squallida e fredda. Sentiamo addosso le tumefazioni e il peso dell’abbandono quando arriva la notte e si è in balia di sconosciuti che portano lo stemma del decoro, della sanità pubblica e della giustizia. “La legge è uguale per tutti”, recita quasi ironicamente l’epigrafe del tribunale il giorno dell’unico processo a Stefano Cucchi, riprodotto fedelmente come l’originale presente online. Alessandro Borghi propone un’interpretazione magistrale, che ricalca i modi di Stefano, i suoi vestiti, le sembianze e la modulazione della voce – come si può sentire mettendo a confronto il film e l’audio originale – ma anche trasformando il proprio corpo.
La realizzazione del film
“È tutto incentrato sugli atti processuali, abbiamo letto 10.000 pagine di verbali con la sceneggiatrice, fatto incontri con gli amici e parenti di Stefano per realizzare un film che fosse il più possibile attinente alla realtà” dice Cremonini in un’intervista concessa a Movieplayer.it, “che restituisse la realtà di quello che ha passato Stefano”. “Non è un documentario, ma un film” continua poi riguardo al modo in cui la vicenda è stata trattata nella pellicola, “per far entrare lo spettatore in una vicenda così terribilmente umana, la morte di un figlio, al di là delle ipotesi che si possono fare su chi è stato e chi non è stato […] Non è assolutamente un film politico”. Il focus è incentrato non sulla vita precedente di Cucchi, né la sequenza meramente giudiziaria: “Ho rappresentato la vittima”.
“Quando sono stata contattata da Alessio Cremonini avevo qualche preoccupazione”, ha detto Ilaria Cucchi in un’intervista caricata da Netflix, “In fondo stavo mettendo nelle mani di questa persona che nemmeno conoscevo la mia storia, il mio dolore.“
“La storia di Stefano Cucchi è una storia che in qualche modo ho sempre vissuto in una maniera abbastanza personale” dice Alessandro Borghi nella stessa intervista: “Ho subito avuto la percezione che questa cosa sarebbe potuta accadere a chiunque”.
Jasmine Trinca, che interpreta la sorella Ilaria Cucchi, rimarca che il caso si trattava di una battaglia pubblica, e aggiunge che “In questo film ho cercato semplicemente di raccontare cos’è una sorella”.

L’impatto sull’opinione pubblica
“Sulla mia pelle” è uscito qualche settimana prima degli ultimi avvenimenti che recentemente hanno smosso le acque della vicenda.
L’onestà cinematografica ha ripagato ed il film è stato apprezzato da diversi critici e italiani che, nonostante il film fosse stato distribuito in un numero limitato di sale e su Netflix, hanno continuato a proiettarlo in università, circoli e luoghi dove si sperava nascesse un dibattito, scatenando anche proteste da parte della stessa Netlfix e Lucky Red per problemi di copyright. La crescita di consensi fa capire che da qualche parte in Italia le coscienze si sono risvegliate. Una parte del Paese riconosce l’umanità di una vicenda delicata, più grande del singolo, più grande della famiglia Cucchi.
La confessione di un testimone
Prima delle testimonianze del carabiniere Riccardo Casamassima, il film ci mostra come Stefano venga condotto nel corridoio della stazione Casilina dai carabinieri verso una delle celle. Il lasso di tempo sembra interminabile. La porta si chiude. Se ci si aspettava una certa scena, la verità è che l’atto di violenza non viene mostrato. Al tempo in cui è stata girata, infatti, non v’erano “le prove concrete” per poterlo fare.

Oggi invece il muro è crollato grazie a chi crede ancora al valore di quella stessa divisa sulla quale si scaglia chi tende a farne un unico fascio. È anche una storia di tristi generalizzazioni, questa, dove si vede prima l’etichetta sociale (il “carabiniere”, il “drogato”, “l’emarginato”, l’appartenente a un certo orientamento politico) e solo successivamente la persona, con la sua dimensione umana, i comportamenti e in certi casi la follia, tutte cose che caratterizzano l’individuo e non la “categoria” intera.
“Sono stato trasferito, demansionato, minacciato per aver fatto il mio dovere” dice Casamassima riguardo la sua testimonianza in una diretta sui social risalente a quest’estate. “Mi ritrovo ora a dover subire un sacco di conseguenze”. Pochi giorni dopo spiega “la fine che ha fatto chi testimonia” in un altro video dove si appella al Ministro Trenta per un intervento tempestivo. Continuano le confessioni di altri carabinieri come Tedesco e personaggi che contornano la vicenda.
La necessità di parlare
È importante parlarne, nonostante l’eccesso mediatico? Sì, se consideriamo che Stefano ha avuto diversi nomi negli anni: Federico, Aldo, Giuseppe e altri ancora.
Senza dubbio “Sulla mia pelle” ha contribuito alla sensibilizzazione collettiva: pulito, distaccato dalla retorica, basato su né più né meno dei fatti descritti nelle varie testimonianze. Non scade nella banalità emozionale o in supposizioni. La critica lo apprezza non soltanto per il messaggio, ma per la tecnica e la qualità del film in quanto tale. Su Wired si legge:
Difficilissimo perché il caso Cucchi ha mobilitato l’opinione pubblica, perché la parte da cui proviene il film è molto chiara (la famiglia Cucchi), perché la storia del cinema ci insegna che quando un simile caso è raccontato a poco tempo dal suo accadimento, difficilmente esce un buon film per via di un eccesso di desiderio di fare al cinema la giustizia che non è stata fatta in tribunale.
Su altre recensioni come quella di Mymovies, invece, il film non darebbe lo stesso impatto emotivo che provoca invece 87ore. Si tratta di un altro film dedicato a una storia tragica quanto vera, quella di Mastrogiovanni, insegnante legato a letto d’ospedale e lasciato a morire.