Disinformazione, attacchi hacker, cyberwar e cybersecurity: avviene sempre più spesso che circuiti e schermi digitali sostituiscano gli scenari di guerra convenzionali, come trincee e basi aeree. Chiunque affronti il tema della guerra cibernetica conosce Israele come uno dei principali centri di sperimentazione e innovazione, in parte grazie al fiorente ecosistema imprenditoriale che ruota intorno a Tel Aviv, in parte grazie alla decennale esperienza israeliana in materia di sicurezza. Oggi abbiamo l’onore di scambiare quattro chiacchiere con uno dei protagonisti di questo cambiamento epocale, un laureato della Reichman University che lavora nel settore, Emanuele De Benedetti.
Come ti presenteresti a uno sconosciuto?
Come una qualunque altra persona. Sono un ragazzo italo-israeliano, nato e cresciuto a Roma, che si sente legato all’Italia e a Israele in egual misura.
In che modo la tua cittadinanza israeliana e la tua etnia ebraica hanno influenzato la tua vita?
Sicuramente in modo profondo. Ho studiato alle scuole ebraiche di Roma. Conosco la realtà della Shoah fin da tenera età, tuttavia non credo che sia stato il fattore più determinante. Ricordo l’11 settembre come fosse ieri, nonostante avessi solo 8 anni: il mio desiderio di aiutare e proteggere gli altri deriva proprio da quel terribile giorno.
Quali sono state le principali differenze tra Israele e l’Italia?
Paradossalmente pochissime. Gli israeliani amano tantissimo il nostro Paese: amano la nostra cultura e e si sentono affini a noi, non solo in quanto terra mediterranea, ma anche per il modo di fare e per l’approccio alla vita. L’idea comune è che bisogna sempre trovare un modo di aiutarsi da soli, cercando soluzioni creative a problemi nuovi in maniera proattiva, perché nessuno verrà in tuo soccorso. Forse la più grande differenza è che gli israeliani portano questo principio un po’ più all’estremo.
Quando ti sei avvicinato al tema della cybersicurezza?
Dopo la magistrale, che ho preso nel 2020, anno culmine del COVID, ho capito che la cybersicurezza era il futuro della sicurezza stessa. Il mondo sta cambiando e dobbiamo imparare ad adattarci alle nuove sfide che ci si presentano. Siamo tutti cresciuti con 007, con i vari Call of Duty e con i Fast&Furious, ma la verità è che un nerd con abbastanza potenza di calcolo e abbastanza competenze può fare mille volte più danni di Sean Connery con una PPQ. Mettendo in conto l’errore umano (dettato anche dall’ignoranza in materia cibernetica che dilaga a livello planetario), lo scenario è un po’ preoccupante.
Cosa è Sepio?
Sepio è una startup in grado di garantire full visibility ai dispositivi hardware, siano essi in periferica o in cloud. Pensiamo sempre al nerd dei film che batte tasti a caso sulla tastiera ed entra nel sistema, ma in realtà un attacco di questo tipo è molto complesso. Il punto debole resta sempre e comunque l’uomo. Coloro che vogliono fare danni al prossimo sanno che la persona comune vuole aiutare il prossimo, perché siamo animali sociali, e usano questa indole contro di noi. Vi porto un piccolo esempio: siete in ufficio, andate a prendere un caffè alla macchinetta e trovate una chiavetta USB. Senza pensarci due volte la connettete al vostro PC per trovare il proprietario. Peccato che facendo ciò avete appena aperto una backdoor nel vostro computer, visto che la chiavetta era “spoofed”, ed ora l’hacker può muoversi liberamente nel sistema aziendale. Sepio previene questi attacchi dando “full visibility” dei dispositivi connessi, tenendo traccia di quali tra essi devono essere connessi e quali no e segnalando se tali dispositivi stanno compiendo azioni illecite o non previste.
Come sei entrato in contatto con l’azienda?
La persona che oggi è la mia diretta supervisore era in classe con me al master. Ha messo l’annuncio per ricercatori sul gruppo WhatsApp di classe, quindi ho fatto domanda ed eccomi qui.
Quali sono le tue mansioni?
La mia mansione principale è quella di ricercatore. Monitoro e faccio ricerca su tutti gli eventi cibernetici a livello mondiale per cercare di capire non solo come si sono svolti, ma anche se fosse possibile prevenirli con un po’ di disciplina o con il nostro intervento. Mi occupo anche di stesura di documentazione interna e di redazione di articoli inerenti al campo.
Qual è la vision di Sepio? Perché i clienti dovrebbero rivolgersi proprio a voi?
A riassumerla in una frase è: non puoi proteggere ciò che non sai di avere. Tutti sappiamo che un PC ha una scheda madre, una scheda grafica, un mouse, una tastiera e via dicendo, ma non tutti sanno come queste parti influiscono l’una con l’altra e, soprattutto, non tutti si rendono conto che basta una falla per far affondare la nave. Se avete una lampadina smart non protetta a casa, nel momento in cui vi connettete con il vostro PC aziendale alla rete domestica un hacker può entrare dalla lampadina, per poi attaccare l’azienda appena sarete in ufficio. Sepio può ovviare a questo problema tramite HAC-1 che consente di vedere tutti i vostri dispositivi.
Quali opportunità offre Sepio a diplomati e laureati, israeliani e non?
Moltissime! Siamo in costante espansione, abbiamo un ufficio negli USA, uno in Israele e uno in Portogallo. Abbiamo personale dai background più disparati, civili e militari, israeliani, americani, italiani, portoghesi, sudafricani, inglesi, francesi, non importa nulla a nessuno. La cosa importante è saper fare gioco di squadra e credere in quello che si sta facendo.
Come mai così tante start-up israeliane sono fondate da veterani delle IDF?
Un po’ per necessità, un po’ per spirito di innovazione, un po’ come gli italiani. Molti vengono dalle unità tecnologiche e decidono di utilizzare l’esperienza acquisita per avanzare a livello personale: hanno dato almeno tre anni allo Stato, facendo la loro parte, e adesso si dedicano a loro stessi. Non ci vedo nulla di male.
Quali sono stati le maggiori innovazioni (tecnologiche, economiche, digitali) introdotte da israeliani?
La più eclatante secondo me? Direi il peace-maker. Però sono talmente tante che è impossibile indicarne una precisa. Ho scoperto qualche giorno fa di un sistema agricolo che condensa l’aria in acqua – con grandi risparmi. C’è il sistema Trophy per abbattere i missili nemici e Waze, che oggi tutti usano quotidianamente per spostarsi. Sono veramente tantissime, dipende dal campo.
Cosa consiglieresti a un giovane che vuole venire a lavorare in Israele?
Di distinguersi e di sapere quanto vale. Gli israeliani vanno al sodo, non sono come noi europei che pensiamo alla forma, no! Molto semplicemente vogliono sapere: chi sei, cosa sai, quanto vali e se sai quanto vali. Si aspettano che arriviate con in mente la cifra mensile che volete guadagnare.
Con questa domanda si conclude la nostra intervista. Grazie ad Emanuele De Benedetti per aver risposto alle nostre curiosità!