Sono nata nel 1998 e il 4 marzo ho votato per la prima volta. Per la maggior parte dei miei coetanei invece era già la seconda chiamata alle urne. Il 4 dicembre 2016 c’era stato il Referendum Costituzionale, e io, essendo nata il 7 dicembre, per una differenza di soli 3 giorni non avevo potuto votare.
Così, vista l’impossibilità di avere una voce in capitolo, continuai a disinteressarmi alla politica. Mi è sempre parso un mondo complesso, nel quale è difficile orientarsi. L’universo politico l’ho sempre visto come una galassia lontana, a sé stante, fatta di uomini in giacca e cravatta e di parole, fiumi di parole, che come torrenti in piena spazzano via tutti i fatti, senza lasciare risorse o strategie concrete.
Il 4 marzo ho votato per la prima volta.
Tre settimane prima del voto ero politicamente ignorante. Non conoscevo nemmeno la differenza tra i ruoli del Presidente del Consiglio e del Presidente della Repubblica. Non sapevo a chi toccasse eleggere i Ministri, e chi fosse a scegliere il Capo del Governo. Così armata di computer e connessione internet mi sono informata. Articoli di giornali, interviste, opinioni di amici e parenti. In tre settimane mi sono costruita una mia idea della politica italiana, e così mi sono recata alle urne.
Al di là dei problemi tecnici nel piegare la scheda elettorale, devo ammettere che dopo aver votato mi sentii fiduciosa. Mi sembrava di percepire un clima di speranza. Sentivo parlare di Governo del cambiamento, Terza Repubblica, e di candidati finalmente scelti dagli Italiani. Con il senno di poi posso adesso affermare che come un allocco ci credetti: Credetti ai politici e alle loro promesse.
Prima di votare l’avevo sentito dire, ma non ci avevo creduto, che quelle stesse promesse con cui si erano comprati il mio voto, fossero solo parole. Le stesse parole che per anni erano state pronunciate da questi uomini in giacca e cravatta, ma mai realizzate.
Vedere per oltre ottanta giorni tutti questi politici temporeggiare, continuando a emettere solo parole, a voce o scritte in contratti, ha contribuito a creare in me un unico sentimento: quello di delusione e sfiducia verso la classe politica italiana.
Mi ero illusa ci potesse essere un cambiamento.
Molti, presunti esperti di politica, mi daranno dell’ingenua. Ebbene sì, lo sono stata. Sono stata un’ingenua a credere che finalmente in Italia si potesse creare un governo scelto dal popolo, la quale prerogativa fosse il benessere dei cittadini.
Gli eventi dell’ultima settimana mi hanno dimostrato che il mio voto è stato inutile, che i politici predicano bene e razzolano male, ma soprattutto che gli Italiani sono divisi. A nord e sud, a destra e sinistra. Adesso si dividono anche tra chi sostiene Mattarella e chi definisce il suo atteggiamento anticostituzionale.
La verità è che come cittadina di 19 anni che vota per la prima volta, io non so più cosa pensare. La risposta alla domanda “Perché i giovani non si interessano alla politica?” ce l’abbiamo davanti: votare non ha concluso nulla e dopo più di ottanta giorni di crisi non si è arrivati al dunque. O meglio, il dunque è che i politici continuano a parlare, gli investitori disinvestono dall’Italia e la gente comune continua a lavorare, sempre che un lavoro ce l’abbia.
Io continuo a sperare che un giorno prima o poi le cose cambino. Spero che l’Italia possa essere governata da persone serie e competenti, senza scandali sulle spalle o processi per corruzione. Ma la realtà è che la speranza è come le promesse e le parole: un astratto intangibile, che difficilmente sfocia nella concretezza delle azioni, se non si hanno proposte concrete e i mezzi per realizzarle.