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La Scuola Cattolica: un film tra passato e presente

Nascere maschi era una malattia incurabile, era una continua lotta per dimostrare la propria virilità e la propria forza

La Scuola Cattolica è l’ultima pellicola del registra Stefano Mordini e porta in scena uno dei più neri casi di cronaca del nostro Paese. Tratto dall’omonimo romanzo di Edoardo Albinati, compagno di scuola dei protagonisti della vicenda, e presentato fuori concorso alla 78esima Mostra del Cinema di Venezia, il film ha fatto discutere sin da subito.

 

La trama

Nel 1975 la violenza era all’ordine del giorno e la società era incastrata in anacronistici paradigmi. Protagonisti della vicenda sono ragazzi dell’alta borghesia romana che frequentano un istituto maschile privato a stampo cattolico. Un contesto protetto e rigoroso, al riparo dal caos quotidiano; motivo per cui sono stati iscritti lì dalle famiglie.

Il racconto è strutturato su due piani narrativi che viaggiano in parallelo e si incontrano al Circeo. Nei primi mesi dell’anno, i ragazzi vivono a pieno la loro adolescenza e affrontano i consueti problemi legati a quest’età. La famiglia e l’amore erano fonte di frustrazione e di debolezza. Apparentemente tutti uguali, ma intimamente vivevano una sessualità profondamente diversa. Nella notte tra il 29 e il 30 settembre del ‘75 la fortezza si rompe e crolla sotto il peso di uno dei più efferati crimini dell’epoca: il delitto del Circeo. Tre ragazzi seviziano e torturano per 36 ore due ragazze di un quartiere periferico. Solo una delle due riesce a salvarsi fingendosi morta.

La banalità del male

Come afferma la voce narrante, nascere maschi era una malattia incurabile. Era una continua lotta per dimostrare la propria virilità e la propria forza. Sopraffare o essere sopraffatti, non ci sono alternative. La mentalità tradizionale prevedeva rispetto e subordinazione verso i ruoli maschili. Nelle mura domestiche come a scuola la mascolinità doveva essere dimostrata e adorata. Il registra ricalca perfettamente lo spirito degli anni ’70, costituito da una combinazione di libertà estrema e aggressività repressa. Infatti le giornate dei ragazzi si consumavano tra atti di bullismo e bravate. In un climax ascendente si susseguono scene di grande violenza contornate da un clima giocoso.

Nella spirale di violenza emerge la banalità del male. I protagonisti della Roma bene sono banali individui inseriti all’interno di un meccanismo infernale. Responsabili di furti e violenze carnali, conducono una vita ai margini della legge. Gianni Guido, Angelo Izzo e Andrea Ghira hanno facce d’angelo, bei vestiti e portamento signorile ma soffrono di deliri di onnipotenza. Il massacro del Circeo va ben oltre la rappresentazione della violenza sessuale, è la violenza dei potenti contro i deboli. Un delitto insensato, privo di motivazioni ideologiche o passionali. Hannah Arendt direbbe che è la banalità del male: un gruppo di ragazzi perfettamente “normali” i cui atti erano mostruosi. Tre ragazzi terribilmente normali.

 

La denuncia sociale

Il periodo storico viene assunto come dato. I ragazzi si muovono come picchiatori fascisti pur non dicendolo, agiscono come drogati pur non mostrando la droga. Volutamente nel film non sono presenti etichette. A distanza di pochi giorni dal fatto, i giornali titolarono la spaccatura delle classi sociali, il fascismo contro il proletariato. Invece c’era altro.

Nel 1975, a pochi giorni dall’accaduto, Pier Paolo Pasolini scrisse un articolo sul Corriere della Sera trattando proprio l’atroce fatto e delineando i connotati di una società in cui possiamo rispecchiarci ancora oggi. Riporto di seguito un breve estratto:“Infatti i criminali non sono solo i neofascisti. Ultimamente un episodio (il massacro di una ragazza al Circeo) ha improvvisamente alleggerito tutte le coscienze e fatto tirare un grande respiro di sollievo: perché i colpevoli del massacro erano appunto dei pariolini fascisti. Dunque c’era da rallegrarsi per due ragioni: 1) per la conferma del fatto che sono solo e sempre i fascisti la colpa di tutto; 2) per la conferma del fatto che la colpa è solo e sempre dei borghesi privilegiati e corrotti.”

L’articolo prosegue sottolineando come il problema non risiede nella classe sociale, in quanto i “borghesi del Parioli” sono criminali tanto quanto “i sottoproletari delle borgate”. Il problema è l’impunità. Da sempre si lamenta in Italia la mancanza di una moderna efficienza poliziesca contro la delinquenza. Nelle righe successive Pasolini afferma che “i casi estremi di criminalità derivano da un ambiente criminaloide di massa”.

Il film si chiude ricordando che la violenza sessuale fino al 1996 era un crimine contro la morale, non contro la persona. Durante il processo Donatella, l’unica sopravvissuta, salì sul banco dei testimoni ma anche sul banco degli imputati perché giudicata “di facili costumi”. Il Messaggero titolava “Due ragazze di periferia con la voglia di uscirne”. I più erano d’accordo sul fatto che se la fossero andata a cercare.

La stessa Donatella accusò la stampa di aver strumentalizzato il caso di cronaca nera un po’ per accentuare il divario tra le classi sociali un po’ per morbosa curiosità. Il clamore fu tale che venne appoggiata da diverse associazioni femministe che si costituirono come parte civile al processo. Ma in pochi erano interessati a vedere che giustizia fosse fatta. Infatti intervistata da Enzo Biagi, Donatella denunciò la sola presenza di donne in tribunale. Per lei questo caso doveva coinvolgere tutti, donne e uomini.


Il processo

I tre carnefici furono condannati in prima battuta all’ergastolo, ma poi successe di tutto. Andrea Ghira fu condannato in contumacia, scappò all’estero e cambiò identità. Per pentimento e per aver firmato un assegno milionario alla famiglia della vittima, la pena di Gianni Guido fu ridotta a 30 anni. Angelo Izzo evase dal carcere per poi rientrare e uscire nei primi anni 2000 in stato di semilibertà. Commise altri due femminicidi e raccontò ai giudici gli innumerevoli atti abominevoli compiuti.

 

L’attualità

La pellicola fa parlare di sé anche perché è stata vietata ai minori di 18 anni; scelta dettata dal fatto che “presenta una narrazione filmica che ha come suo punto centrale la sostanziale equiparazione della vittima e del carnefice”.

Una chiave di lettura a mio avviso errata. Il registra in primis vuole dimostrarci come si possa scegliere dove stare. Nell’eterna lotta tra il bene e il male bisogna schierarsi. Il secondo insegnamento impartito riguarda la centralità della famiglia e della scuola nell’educazione. Sono i pilastri di una società civile solida, sono “gusci” su cui investire per plasmare una nuova generazione. Allora proprio perché è una tragica pagina di storia che si ripete ancora oggi, è doveroso consentire a tutti la visione ed educare servendosi della storia.

Il contesto fa da cornice al film, la vicenda è tristemente attuale. Andando oltre la violenza di genere e la mascolinità tossica, possiamo affermare con decisione che esiste una forma di violenza impunita anche nella realtà virtuale. Non è forse la menzogna uno dei pilastri su cui si ergono le fondamenta dei social? Menzogna e bisogno di farsi accettare vanno a braccetto. È sotto i nostri occhi, tutti lo sanno, in pochi ne parlano e la legislazione si muove a rilento.