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La settimana “corta” in Spagna

In Spagna parte la sperimentazione della settimana lavorativa di 4 giorni con stipendi invariati per i lavoratori.

La Spagna è uno dei primi paesi al mondo a protendere verso una decisione che potrebbe avere un impatto significativo sulla vita dei suoi cittadini: ridurre la settimana lavorativa da cinque a quattro giorni per un totale di 32 ore settimanali invece di 35.

L’ultimo cambiamento di questo tipo in Europa risale al 1997, anno in cui la Francia del presidente Jacques Chirac decise di attuare un programma che prevedeva una riduzione degli orari di lavoro da 39 a 35 ore. Oggi è il governo spagnolo del socialista Pedro Sánchez a decidere di avviare un progetto pilota con lo scopo di sperimentare gli effetti della proposta lanciata dal piccolo partito di sinistra Mas Paìs, guidato da Inigo Errejòn, in passato amico e collega dell’attuale vicepresidente del governo Pablo Iglesias.

La Spagna, come l’Italia, è tra i paesi in cui si lavora di più, ma con un basso livello di produttività

In base ai dati raccolti dal partito, la Spagna è uno dei paesi europei in cui si lavora di più, ma, allo stesso tempo, non è tra i più produttivi; una tendenza, questa, che si registra anche in Italia, dove, secondo i dati OCSE, si lavora per il maggior numero di ore, una classifica in cui ci precedono solo Grecia ed Estonia, paesi insieme ai quali il nostro presenta un livello di produttività piuttosto basso.

All’origine di questa proposta del Mas Paìs, dunque, c’è la necessità di riqualificare la forza lavoro concedendo più tempo libero ai lavoratori, i quali in questo modo sarebbero messi in condizione di fornire delle prestazioni migliori. A questo si abbina la convinzione di una parte dell’opinione pubblica spagnola che sia diventato fondamentale riportare in testa alle priorità dei cittadini il loro benessere mentale e l’importanza di avere uno stile di vita equilibrato, aspetti che sono messi a dura prova o comunque in secondo piano da un sistema produttivo considerato fallimentare da Errejòn – come afferma egli stesso in un tweet dello scorso 13 marzo.

Con lo smartworking il confine tra lo svago e la vita professionale diventa più labile

Nell’ultimo periodo, inoltre, anche lo smartworking è complice di un maggiore livello di stress nella vita delle persone, in quanto non aiuta a trovare il giusto equilibrio tra lo svago e la vita professionale. D’altra parte, non avendo più dei ritmi ben definiti né la sensazione di leggerezza e spensieratezza che si avverte in genere nel momento in cui si esce dall’ufficio e ci si accinge a consumare un aperitivo in compagnia per scaricare la tensione dopo aver portato a termine una giornata di lavoro, il confine tra queste due dimensioni rischia di diventare sempre più labile.

Infine, il progetto avrebbe un impatto decisivo anche sull’ambiente in quanto il minor flusso di persone nelle grandi città contribuirebbe a ridurre l’inquinamento.

Nel 2020 un’impresa spagnola ha già iniziato a sperimentare modifiche degli orari di lavoro a proprie spese

Proprio in Spagna, tra l’altro, l’impresa Software Delsol di Jaen ha deciso, già da un anno, di adottare di sua spontanea volontà tali misure riscontrando risultati positivi: un maggiore entusiasmo dei dipendenti, l’aumento della produttività e il calo dell’assenteismo. Anche Microsoft in passato ha avuto l’intuizione di alleggerire gli orari di lavoro nella sua filiale in Giappone e lo stesso sta provando a fare Unilever in Nuova Zelanda, paese già noto per un alto livello della qualità della vita.

Lo Stato coprirà i costi, ma si scontra con le resistenze della CEOE

Un aspetto rilevante è che il progetto non implica variazioni dei salari, infatti, il governo di Madrid non solo si impegna ad applicarlo in via sperimentale a un numero ridotto di imprese, ma si fa carico anche di garantire loro la copertura dei costi che comporta una tale modifica, pari al 100% per il primo anno, al 50% per il secondo e al 33% per il terzo, in quanto si calcola che in questo lasso di tempo l’azienda debba già osservare una crescita della produttività.

Tuttavia, la Ceoe (Confederaciòn espanolas de organizaciones empresarias, l’equivalente della Confindustria italiana) si oppone all’idea sostenendo che, considerata la fase di profonda crisi che il paese si trova ad affrontare, non ci si possa permettere di fare esperimenti azzardati, anzi, bisognerebbe lavorare di più e prodigarsi per superare l’emergenza sanitaria, economica e sociale.

In effetti, per quanto l’idea sembri interessante e rivoluzionaria, c’è da considerare che un conto è se viene realizzata da un’unica azienda che opera in un settore specifico, un altro è pensare di estenderla a una nazione intera.

C’è bisogno di rallentare i nostri ritmi quotidiani? L’opinione pubblica si interroga 

Ad ogni modo, il tema è al centro del dibattito politico del paese anche tra sindacati e imprese, i quali non hanno ancora raggiunto un accordo sui finanziamenti che lo stato dovrebbe stanziare per sostenere i costi aggiuntivi delle imprese coinvolte in questa prima fase di sperimentazione. Ciò che è certo è che la questione è stata sollevata da tempo in Spagna e sta suscitando l’interesse di tutta l’opinione pubblica europea; non a caso, anche i governi degli altri paesi stanno iniziando a interrogarsi sui possibili vantaggi di cui si potrebbe beneficiare attraverso politiche simili.