Tristan Harris è un ex Design Ethicist di Google e mago. Da anni si esprime sul bisogno di prendere coscienza di come la tecnologia moderna sfrutti le nostre debolezze.
“Sono un esperto del modo in cui la tecnologia dirotta le nostre vulnerabilità psicologiche”, dichiara nel suo articolo. “Quando usiamo la tecnologia, tendiamo a focalizzarci ottimisticamente su tutte le cose che è in grado di fare per noi. Ma voglio mostrarvi in che modo potrebbe fare l’opposto.”
Perché sottolinea il fatto di essere un mago? Che legame c’è con il discorso che stiamo facendo?
Per Harris, quando i maghi si cimentano nei loro trucchi, sfruttano la distrazione del pubblico, i suoi limiti e vulnerabilità, prendendosi gioco delle sue percezioni. In questo modo il trucco può riuscire. Proprio come fa la tecnologia che usiamo ogni giorno. Harris ce lo dimostra con vari punti.
La libertà di scelta
La cultura occidentale si basa sulla convinzione che siamo liberi di scegliere. Stili di vita, modelli di smartphone e pc, credenze, religioni e così via. Basta guardare lo scaffale di un negozio: troveremo una ventina di versioni (minimo) per ogni prodotto.
Ma è davvero così? Se abbiamo una lista piuttosto lunga di opzioni, ci chiediamo mai che cosa invece non c’è? E perché non c’è? Chi ha stilato la lista per noi, lo ha fatto con quali motivi?
Per Harris, se si accettano i menu che qualcun altro prepara per noi, si rischia di perdere di vista la visione corretta delle cose: “”Con chi posso uscire stasera?” diventa un menu delle persone più recenti con cui abbiamo parlato”, oppure “Quando ci svegliamo la mattina, troviamo un menu di tutto quello che ci siamo persi da ieri”.
Ma queste cose corrispondono a chi siamo e che cosa ci importa?
La slot machine
In media, controlliamo il telefono 150 volte al giorno. Ma è una decisione, anzi 150, che facciamo in modo consapevole? Secondo Harris, questo è l’effetto slot machine: siamo in attesa di una “ricompensa” con esito casuale e variabile.
Siamo intrigati da cosa potremmo trovare sullo schermo (che premio avremo stavolta? Una notifica? Dei like?) e, inconsciamente, ci parte… Il tic nervoso. Riaggiorna la pagina. Una, due, tre volte. Accendi la schermata di blocco. Una, due, tre volte in 5 minuti.
Un po’ come fa chi gioca alle slot machine. Non sa cosa capiterà la prossima volta che la moneta cadrà nella fessura della macchina. Ma è quello che ha bisogno di sapere subito. Una, due, tre, cento volte.
E tutto il resto perde senso.
È una serie di scelte ben ragionate? No. È una dipendenza.
F.O.M.S.I. e approvazione sociale
La Fear of Missing Something Important (F.O.M.S.I.) è un altro aspetto sul quale fanno leva le app e internet. Cos’è quell’ansia che ci attanaglia lo stomaco se, dopo un intero pomeriggio passato fuori casa, non abbiamo ancora controllato il telefono?
È proprio la cosiddetta paura di perderci qualcosa di importante, qualche informazione, delle stories, uno stato di Whatsapp, il post di qualche tizio che a malapena conosciamo, un’offerta su qualche sito che vende roba che tanto, in fondo, nemmeno ci serve.
O una newsletter alla quale non annulliamo l’iscrizione perché “non si sa mai, chissà”.
Ma è una paura fondata?
No.
Infatti, ogni giorno succedono milioni, forse miliardi di avvenimenti… E anche più importanti di quell’amico che si è taggato in quella famosa città americana, su Facebook, magari per il puro vanto di farti vedere che sta in America.
Embè? Sono informazioni di cui hai bisogno? Vuoi proprio riempirti la testa di questi dati “urgenti”, e non di quelle pagine di diritto penale che aspettano solo te? Sì, proprio te.
Ma torniamo a noi: per Harris, “non possiamo avere mancanza di quel che non vediamo”. Avrei paura di perdermi le news sull’incendio di Notre Dame se non sapessi affatto che una delle più belle cattedrali al mondo sta bruciando?
Per Harris bisogna sbarazzarsi di questa paura. Ci sarà sempre qualcosa che non sappiamo. Tanto vale accettarlo e iniziare a riempire la mente con pensieri di qualità.
Tit-for-tat
È ciò che ci fa relazionare su internet con persone con le quali ci sentiamo obbligati moralmente a interagire o ricambiare. Rispondiamo al like, al messaggio, all’e-mail, al following. Altrimenti, se non lo facciamo, che succede?
Spoiler: niente.
Harris sottolinea un inganno curioso. Avete presente le richieste d’amicizia o di contatto, per esempio su LinkedIn? Ecco, magari pensiamo che la persona che ci manda l’amicizia abbia fatto una precisa scelta di conoscerci, parafrasando ciò che dice Harris.
Ma in realtà, magari ha solo visto tra i suggerimenti d’amicizia cliccandovi per impulso, senza pensarci. E questo genera un bisogno di ripagare la “cortesia”.
Questo si amplifica anche nelle spunte di lettura, che generano la consapevolezza di dover rispondere all’altro.
L’eterno ritorno, per non staccare mai la spina
Ci pensate che da un po’ di tempo è sempre più difficile staccare gli occhi dallo schermo? Intendo dire, quando scrolliamo una app lo facciamo anche per ore senza mai vederne la fine, se sentiamo una canzone su Youtube c’è sempre “il prossimo video” o un suggerimento.
In un attimo di distrazione finiamo dal sentire i Foo Fighters agli “Scherzi Epici Finiti Male”, “Esperimenti Sociali”, “Cinque misteri sulle galline che non sapevi di non sapere”. Di Netflix non parliamo neanche.
Secondo Harris, il countdown di Netflix è fatto apposta per dare una falsa illusione di avere potere decisionale su quella scelta, che poi però verrà effettuata lo stesso.
È tempo trascorso di qualità, senza dubbio. Vero?
L’unione fa i sold… La forza
Se dico Facebook, in tutta probabilità vi vengono in mente anche Instagram e WhatsApp. Se dico Google, voi dite Maps, Gmail, o YouTube. Se dico YouTube, qualcuno dirà Twitch. Se dite Twitch, vi rispondo Patreon. E potremmo andare avanti per una serata.
È casuale? Per Tristan Harris no. La promozione di una app o di un servizio, spesso, viene fatta in modo tale da abbinarla a un “pacchetto” di “elementi inseparabili”.
Se non hai l’intero pacchetto di app o di piattaforme, ciò genera un senso di incompletezza.
E qui Harris dà uno spunto di riflessione particolarmente importante: “Le industrie tech progettano i loro siti nello stesso modo. Per esempio, se vuoi vedere un evento su Facebook (quello che vuoi tu), la app di Facebook non ti permette di accedervi senza prima finire sulla home con il news feed (quello che vogliono loro), e ciò è fatto apposta. Facebook vuole convertire le tue motivazioni nell’usare Facebook, nelle sue motivazioni, che consistono nel massimizzare il tempo che spendi su questa piattaforma”.
Manipolazione delle scelte
Quando apri una newsletter, mi sai dire dov’è il link per cancellarti dall’iscrizione? Se apri Google o le impostazioni per la privacy, mi sai dire dov’è l’opzione per rifiutare al 100% l’utilizzo dei tuoi dati personali?
Quando navighi in un sito, da qualche anno a questa parte, o accetti l’intrusione sulla tua privacy… O la accetti. Sai dirmi dove trovare un “no” definitivo a cui mettere la spunta?
In altre parole, è sempre più difficile che tu prenda una decisione pura. Su internet e sulle app, infatti, tutto è guidato.
Quello che non fa comodo all’azienda produttrice viene ben nascosto sulla piattaforma, minimizzato, manipolato in modo che tu sia convinto a non andarlo a scovare.
Il link di annullamento d’iscrizione a una qualsiasi newsletter è in fondo, piccolo piccolo. Forse neppure si vede, devi prima cliccare su “Visualizza il testo integrale dell’e-mail”. Poi devi cliccare sul link. Che ti porterà a una nuova pagina. Dove dovrai selezionare tra le 10 motivazioni per le quali non vuoi più iscriverti. Che sono state scritte dall’azienda produttrice, e non da te, in modi ben precisi.
E poi dovrai forse fare altri passaggi fino all’agognato ultimo step, quello dell’annullamento… Che produrrà una nuova e-mail, proprio quella che non volevi più vedere da loro, dove verrà probabilmente sfruttato il tuo senso di colpa per questa tua “ignobile” scelta, o riceverai un messaggio in stile “non sai quello che ti perdi”.
Una faticaccia, vero?
Molto più facile farsi bombardare da queste newsletter o ignorarle.