Finalmente è legge. Il 18 marzo la Spagna ha ufficialmente legalizzato l’eutanasia con 202 sì, 141 no e due astensioni. Il percorso legislativo si è concluso dopo più di vent’anni dal primo tentativo in Parlamento.
La legge stabilisce che l’eutanasia o il suicidio assistito potranno essere richiesti da persone affette da una malattia grave e incurabile o da una patologia grave, cronica e disabilitante, che provochino una sofferenza insopportabile.
Ma prima un passo indietro: cosa vuol dire eutanasia?
Etimologicamente eutanasia è una parola di origine greca composta da εὖ –eu- (“bene”) e ϑάνατος-thanatos- (“morte”), letteralmente la bella morte, e indica tutto quell’insieme di pratiche volte a porre deliberatamente termine alla vita di un paziente al fine di evitare, in caso di malattie incurabili, sofferenze prolungare nel tempo.
Tale procedura può essere ottenuta o con la sospensione del trattamento medico che mantiene artificialmente il paziente in vita, in questo caso si parla di eutanasia passiva, o attraverso la somministrazione di farmaci atti ad affrettare o procurare la morte, cioè con l’eutanasia attiva.
Cosa prevede la legge in Spagna
La nuova legge stabilisce che il diritto all’eutanasia possa essere esercitato soltanto in un contesto di sofferenza e prevede che le persone con una malattia grave e incurabile possano beneficiare dell’eutanasia attiva.
Le persone che desiderano procedere in tal senso devono aver confermato in quattro momenti la loro volontà e devono aver presentato i referti medici necessari per dimostrare la propria condizione. La richiesta dovrà essere esaminata e accolta da una commissione esaminatrice, poi il paziente dovrà dare un’ultima volta il suo consenso.
Si è anche votato per il suicidio assistito, cioè “la prescrizione o la dotazione da parte di personale sanitario di una sostanza al paziente, in modo che questo possa somministrarsela in autonomia, per causare la propria morte”.
Prima dell’approvazione della legge, l’eutanasia attiva era vietata dall’articolo 143 del Codice Penale spagnolo, che puniva con il carcere da 2 a 10 anni chi avesse aiutato altre persone a morire. Tuttavia, in 11 delle 17 comunità autonome della Spagna era già permessa quella passiva.
I paesi in cui è già legale o quasi
Il primo paese a legalizzare l’eutanasia diretta, il suicidio assistito e, in un secondo tempo, il protocollo Groningen sull’eutanasia infantile, è stato l’Olanda nel 2002. Successivamente il Belgio, che nel 2003 ha legalizzato l’eutanasia e nel 2016 l’ha estesa ai minori. Il Lussemburgo ha normato la pratica nel 2009 con una clausola: si può mettere in atto soltanto per gli adulti e i pazienti in condizioni di salute considerate senza via d’uscita. La Nuova Zelanda farà entrare in vigore l’eutanasia a novembre 2021, dopo un referendum in cui la popolazione ha votato favorevolmente; in Colombia è ammessa ma non ancora legalizzata e in Cina è ammessa dal 1998 solo negli ospedali e per i malati terminali. Infine, Svizzera e alcuni stati degli Stati Uniti d’America consentono il suicidio assistito.
La situazione nel Bel Paese
La situazione in Italia è statica: l’eutanasia rimane illegale, sebbene nel 2019 la Corte Costituzionale ha dichiarato che non è un crimine aiutare a porre fine alla propria vita qualcuno sottoposto a sofferenze intollerabili.
Andando nello specifico, l’eutanasia attiva è considerata omicidio volontario e, pertanto, è punita ai sensi dell’art. 575 c.p., che recita che chiunque cagiona la morte di un uomo è punito con la reclusione non inferiore ad anni ventuno. E così anche nel caso di eutanasia passiva può essere configurato il reato di omicidio volontario ai sensi dell’art. 40 c.p., che equipara il non impedire l’evento al cagionarlo volontariamente.
Lentezza, burocrazia, tabù…
Tutto questo, ovviamente, non fa che incrementare la lentezza con cui si raggiungono traguardi che in altri paesi sono stati raggiunti da almeno dieci anni. Oltretutto, avere una legge sull’eutanasia non significherebbe soltanto porre fine alla vita di una persona in una situazione e condizione particolarmente grave, significherebbe mettere a disposizione esperti del settore che seguiranno i singoli casi e, dopo diverso tempo, si raggiungerà una decisione. Inoltre, vengono riportati casi di suicidio ogni giorno, spesso tra i giovani, proprio perché le patologie che possono portare a prendere tale decisione vengono spesso sottovalutate e sminuite. Tantissimi casi di depressione, in entrambi i sessi, si sono trasformati in suicidi veri e propri.
In Italia, l’eutanasia e il suicidio sono ancora due argomenti tabù che stigmatizzano chi decide di agire in un senso o nell’altro. E l’ignoranza che emerge, non fa che rallentare i pochi progressi che si cercano di fare.
…e stigmatizzazione sociale
È facile riportare alla mente il dibattito pubblico su quanto accaduto nel 2017 e a tutto l’iter giudiziario a cui è stato sottoposto Marco Cappato per aver accompagnato Dj Fabo, un uomo rimasto tetraplegico in seguito a un incidente stradale, in Svizzera per l’ottenimento dell’assistenza alla morte volontaria nella clinica Dignitas. Il polverone mediatico e non solo che si è scatenato dalla vicenda, non ha fatto che evidenziare quanto sia necessaria una legge che regolarizzi l’eutanasia.
Le associazioni presenti sul territorio
Attualmente sul territorio è presente l’organizzazione Luca Coscioni, un’associazione no profit di promozione sociale nata nel 2002 le cui priorità sono: “ l’affermazione delle libertà civili e i diritti umani, in particolare quello alla scienza, l’assistenza personale autogestita, l’abbattimento della barriere architettoniche, le scelte di fine vita, la ricerca sugli embrioni, l’accesso alla procreazione medicalmente assistita, la legalizzazione dell’eutanasia, l’accesso ai cannabinoidi medici e il monitoraggio mondiale di leggi e politiche in materia di scienza e auto-determinazione”.