Si chiama Kayelitsha, ed è una delle più grandi township di tutto il Sudafrica. Ha raggiunto i 500mila abitanti, il 50 per cento dei quali ha meno di diciannove anni. Le nuove abitazioni sovrastano gli ultimi pezzi di terra ancora liberi, le lamiere sono arrivate fino al mare. Phumeza Tisile è una giovane ragazza che vive fin da piccola a Kayelitsha. All’età di 25 anni le hanno diagnosticato una forma di tubercolosi resistente ai farmaci, la Mdr-tb, multi drug resistant. Malattia molto più pericolosa, che si è formata da mutazioni genetiche del batterio dovute a un errato uso dei farmaci o a cure interrotte precocemente. Dopo aver iniziato le cure, però, Phumeza non ha avuto i miglioramenti sperati e dopo poco tempo le è stato comunicato che era positiva alla tubercolosi estensivamente resistente. Una declinazione della tubercolosi ancora più temibile, resistente ai farmaci di seconda linea utilizzati nelle cure di questa infezione.
È così intervenuta l’ong Medici Senza Frontiere, che ha rintracciato un farmaco non presente in Sudafrica e che, dopo un anno, è riuscito a guarirla. Nell’agosto del 2013 è infatti risultata negativa ai test, ma aveva perso l’udito. Quest’anno ha avuto la possibilità di ottenere due impianti cocleari ed è tornata a sentire. Phumeza è riuscita a curarsi, ma in Sudafrica la tubercolosi è una malattia silenziosa, non se ne sente parlare nonostante faccia 450mila vittime all’anno, 51 all’ora. Basta un nulla alla trasmissione. E se dai dati dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) la tubercolosi comune, quella drug susceptible, sembra calare leggermente nei numeri, preoccupano soprattutto le forme di tubercolosi resistente, sia essa Mdr o Xdr. Declinazioni di tubercolosi che hanno enormi costi al livello di cure e che consumano buona parte del budget sudafricano stanziato per questa malattia. I casi annui di Mdr-tb in Sudafrica sono passati dai duemila del 2005 ai diecimila del 2013, con un picco di 15mila nuovi contagi nel 2012. E le probabilità di sopravvivere, per chi è affetto dalle forme resistenti, sono ancora molto basse. Disinformazione, sicuramente, ma anche paura. Paura di incontrare i vicini lungo la strada per l’ospedale, paura di dover dire ai parenti di essere positivi alla tubercolosi, paura della possibile solitudine. Moses, 42 anni, racconta come, dopo aver detto alla mamma di essere positivo sia all’HIV sia alla tubercolosi, la famiglia si sia volatilizzata. E allora per evitare di essere isolati dalle comunità meglio nascondere la malattia: ed è così che la tubercolosi, proprio come l’hiv, continua a diffondersi, soprattutto nelle aree più povere, nei quartieri più degradati. “Terrible twins”, così viene chiamata la combinazione su un paziente di HIV e di tubercolosi. Il 60% dei malati di tbr sono anche positivi al test dell’HIV, un numero enorme ed in continua crescita. Un’epidemia che però tecnicamente non esiste secondo il direttore del programma tubercolosi dell’Organizzazione mondiale della sanità, Mauro Raviglione, perché questa malattia “è ormai diventata endemica, è entrata in equilibrio con le persone, e questo la rende ancora più difficile da sconfiggere senza investimenti nella ricerca”.