Di lavoro si sente parlare ogni giorno, ma come stanno le cose?
Vediamo la situazione lavorativa in Italia, aiutandoci con testimonianze che abbiamo raccolto presso giovani diplomati in forma anonima.
Dal report 2018 del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, in collaborazione con Inps, Istat, Inail e Anpal, si legge la condizione del mercato del lavoro attuale in Italia. Com’è cambiato rispetto a 10 anni fa?
L’occupazione ha raggiunto i massimi storici da record (58,5%) nel 2018, con tasso di disoccupazione del 10,6%. L’aumento si è verificato perlopiù grazie ai contratti a tempo determinato, agevolati da decontribuzione e legge di stabilità (basti pensare agli incentivi per under 35). Il lavoro indipendente è crollato rispetto al 2008. Abbiamo perso inoltre artigiani, operai specializzati e figure qualificate.
Meno giovani e più istruiti.
Chi lavora è per la maggiore over 35, e su questo influisce l’aumento dell’età pensionabile. Rispetto a 10 anni fa, abbiamo visto un cambiamento nella composizione sociodemografica dei lavoratori: 388mila uomini occupati in meno, mezzo milione di donne in più; 376mila occupati in più nel Centro-Nord, 600mila in meno nel Sud.
Per quanto riguarda i lavori meno qualificati e più faticosi, prevalgono i lavoratori stranieri nei settori di ristorazione, alberghi, agricoltura, servizi per famiglie, commercio e operai.
E le retribuzioni? Il compenso orario è aumentato in concomitanza con l’aumento dei prezzi.
Divario occupazionale Italia-Europa
La differenza tra il numero di occupati in Italia rispetto all’Europa si verifica in settori e sottogruppi di popolazione specifici:
- Sanità
- Assistenza sociale
- Istruzione
- Pubblica amministrazione
- Attività immobiliari
- Attività professionali
- Noleggio
- Occupazione di giovani e laureati
- Professioni qualificate/con titoli di studio elevati
Con un’incidenza maggiore nel settore pubblico, dove è noto il blocco delle assunzioni a causa della crisi.
Ma questo mancato incontro tra domanda e offerta… In che consiste?!
Si chiama “sottoutilizzo della forza lavoro” e possiamo dire che è composto dai fattori seguenti:
Sottoutilizzo = sottoccupazione + sovraistruzione + disoccupazione + forza lavoro potenziale
dove:
- Sottoccupazione = l’ammontare di ore lavorative che non viene sfruttato,
- Sovraistruzione = situazione nella quale il lavoro richiede un titolo di studio minore a quello posseduto dal lavoratore, o dove il lavoro è inadeguato al titolo di studio che si possiede.
- Secondo il report “L’aumento del livello di istruzione degli occupati può generare situazioni di mismatch tra domanda e offerta di lavoro che generano sovraistruzione e spreco di capitale umano”,
- Disoccupazione = la % di popolazione che cerca lavoro attivamente ma non riesce a trovarlo. Fra essi non rientrano gli studenti. Quando parliamo di disoccupazione giovanile, infatti, ci stiamo riferendo a chi non lavora e non studia o smette di farlo,
- Forza lavoro potenziale = lavoratori disponibili, ma non assorbiti dal mercato del lavoro. In Europa abbiamo il tasso di attività lavorativa più basso. Ciò è dato in parte dal Mezzogiorno, che si distacca per 16 punti dalla media europea (il Nord di 2,3 punti), in parte da una “questione di genere”. Molte meno donne italiane sono occupate rispetto all’Europa e con il divario di genere più alto dopo Malta. Infatti nel rapporto si legge che:
“Per le donne si riscontra una maggiore presenza di inattive legata prevalentemente a motivi di carattere familiare e alla presenza elevata di donne adulte che, per difficoltà di inserimento o per motivi culturali, non hanno mai lavorato nella loro vita. Tra le donne di 45-74 anni che non appartengono alle forze lavoro, infatti, il 30,4% non ha mai avuto esperienze di lavoro nella vita, fenomeno quasi assente tra gli uomini (3,8%) e molto più accentuato per le donne con basso titolo di studio (35,9%) e residenti nel Mezzogiorno (54,5%).”
Possiamo immaginare le conseguenze di questa situazione. In termini di effetti prodotti, il sottoutilizzo equivale a:
Sottoutilizzo = fuga di capitale umano + costi economici + costi sociali + perdita di efficienza
- Fuga di capitale umano = chi ha investito nell’istruzione, in sostanza, “invano”, trova un impiego all’estero (cosiddetta fuga di cervelli, che, parlando d’istruzione, riguarda perlomeno i più giovani),
- Costi economici e sociali = lo spreco di risorse, la qualità dell’offerta di lavoro generano dei costi materiali e immateriali,
- Perdita di efficienza = crolla l’offerta di lavoro e le imprese non riescono a raggiungere la piena efficienza lavorativa.
“La laurea/diploma non serve a niente”
In realtà no. Per chi ha una laurea il tasso di attività lavorativa passa dal 44,5% all’81,5% in Europa, e dal 41,5% al 77,9% in Italia. Citando Caparezza, “Non è vero che è inutile il tuo diploma, inutile è parlare di glutei nel perizoma”. A buon intenditor, poche parole.
Se si parla soprattutto di donne, giovani e stranieri, in Italia è bene pensarci due volte e anche tre, prima di abbandonare la scuola o l’università.
In generale, “La formazione scolastica si conferma in sostanza come un fattore che influisce sulle opportunità di lavoro, non solo in termini di riduzione del rischio di disoccupazione o di inattività, ma anche in relazione alla sottoccupazione e alla qualità del lavoro”.
Tenendo però presente il disallineamento formativo, tra sovraistruiti e sottoistruiti.
A proposito di sovraistruiti, chi svolge lavori con competenze inferiori al titolo di studio conseguito è, infatti, il:
- 33,1% dei laureati (settori: “tecnico informatico, contabile, segretario, impiegato amministrativo”),
- 36,0% dei diplomati (“barista, cameriere, muratore, camionista”).
Il dramma della fuga bilaterale
Il collegamento che nessuno vuole fare è tra chi esce dall’Italia e chi entra.
Secondo il report, dal 2013 i diplomati italiani che sono scappati all’estero sono aumentati del 32,9% e i laureati del 41,8%. Stiamo parlando anche di dottori di ricerca, un titolo di studio che nei nostri concorsi pubblici non è considerato. Ma sarebbe giusto aggiungere pure il numero di professori universitari italiani che vanno ad insegnare all’estero, scienziati e start-up innovative.
Ma ad entrare chi è? Qual è il capitale umano che poi diventa parte del mercato italiano? Persone perlopiù senza qualifiche. La maggior parte fa lavori non specializzati che gli italiani non vogliono più fare (pensiamo alla raccolta di frutta, badanti, operai, e così via), si accontentano di retribuzioni più basse e a volte di meno diritti lavorativi, concorrendo con l’offerta italiana. E solo il 26% circa dei dottori di ricerca stranieri che vengono da noi, rimane.
Noi, che giusto vent’anni fa eravamo i “provincialisti” criticati da Marchionne, quelli delle chiusure del negozio dalle 13 alle 16 e nei weekend, delle vacanze per l’intero mese di agosto, dell’assistenzialismo paternalista dello Stato e della lotta sindacale, adesso competiamo con chi di diritti ne ha avuti molti meno. E brillano gli occhi agli imprenditori che sognano di spremere la mucca fino allo stremo per ottenere più latte e a chi fa affari sullo sfruttamento altrui.
L’unica lotta oggi è quella sulle retribuzioni al ribasso, l’unica gara è sull’azienda che corre più veloce all’estero. Dove con “estero” si intende luoghi nei quali la manodopera costa ancora meno e le tasse sono basse.
E noi che facciamo? Ci adeguiamo.
Lavoriamo il doppio delle ore, prendiamo la metà della metà, le ferie sono una minaccia al posto di lavoro, lavoriamo di domenica e di notte, siamo costrette a firmare clausole dove spergiuriamo di non rimanere incinte e non volere figli, accettiamo il mobbing, lo stress cronico sul lavoro e le relative conseguenze. A volte dobbiamo perfino pagare per lavorare. E le proviamo davvero tutte, come il gioco d’azzardo, pur di tirarci fuori.
Di fronte alle occasioni di sviluppo rimaniamo ancorati al passato, chiedendoci dove sia la fregatura o cercando qualcuno da incolpare.
Quindi, i nostri dottori di ricerca e le menti più brillanti corrono ad arricchire e innovare altri Stati con la nostra formazione e le nostre idee, mentre noi attiriamo perlopiù chi raccoglie frutta.
Come possiamo parlare di innovazione e progresso?
Parlano i giovani
Abbiamo raccolto alcune testimonianze sul mondo del lavoro post diploma, in forma anonima, da parte di giovani non laureati. I nomi che utilizziamo nell’articolo sono esclusivamente di fantasia, per la tutela di ogni soggetto.
«Un problema spesso presente» dice Michele a proposito dell’azienda per la quale lavora, «E’ il mancato rispetto degli orari di lavoro. Si tende a far rimanere a lavoro i dipendenti anche molto oltre l’orario di uscita, arrivando fino a sera, il tutto senza vedersi retribuiti gli straordinari.»
D: E’ una cosa che succede spesso?
«È diventata una abitudine consolidata, tanto che se si vuole fare bella impressione con il datore di lavoro è pratica comune rimanere più tempo a lavoro, cosa che ha reso scontato e non retribuito questo modo di fare. Si è arrivati ad essere visti male nel caso si esca semplicemente all’orario da contratto.»
Una fattispecie simile ha riscontrato Angelo nella sua azienda, che dice:
«Ci è stato imposto di lavorare in un giorno di riposo per rispettare una consegna, ma non ci hanno riconosciuto nessuno straordinario. L’unica ricompensa è stata un giorno di ferie aggiuntivo: in pratica potevamo non andare al lavoro un giorno ma segnarlo comunque come lavorativo. Inutile dire che i costi per lavorare in un giorno di riposo sono ben superiori, in più per andare al lavoro bisogna anche sostenere le spese per arrivarci, quindi ci abbiamo soltanto perso.»
Ci spostiamo da Pamela, alla quale rivolgiamo qualche domanda.
D: Quali sono le difficoltà che hai riscontrato di più nel cercare lavoro?
«Purtroppo in questo periodo di crisi non è facile ottenere un lavoro. Le difficoltà che ho riscontrato di più sono state alcuni requisiti che mi mancavano, il fatto che avevo poca esperienza e ne chiedevano come minimo 3 anni e anche le mansioni semplici venivano complicate. Trovavo annunci che ad esempio chiedevano 8 ore di lavoro al giorno con rimborso di 400€ mensili e buoni pasto.»
D: Hai ricevuto proposte di lavoro a tempo indeterminato?
«Mi è stato proposto una sola volta e sono stata assunta»
D: Gli orari di lavoro che facevi e le mansioni alle quali eri addetta sono stati rispettati dal tuo/dai tuoi datori?
«Purtroppo non sempre venivano rispettati gli orari in alcune aziende dove ho lavorato. Nel mio primo tirocinio dovevo fare 6 ore per 6 giorni a settimana e tornavo a casa molto stanca, purtroppo quando mi mancavano due minuti per staccare mi chiedevano sempre di pulire un macchinario o di buttare la spazzatura, così finivo per fare mezz’ora in più.
Quando finii il primo mese, l’azienda mi fece il calcolo delle ore svolte e uscì un ammontare di diverse ore settimanali in più, che non sono state retribuite.»
Sul ricevere la retribuzione, invece: «Per fortuna mi hanno sempre dato lo stipendio, anche se mi è capitata una volta in cui ho lavorato come promoter e non mi hanno pagata perché la società era fantasma»
D: Racconta uno o più aneddoti che ti sono rimasti impressi
«Quando ho fatto uno stage con la scuola, avevo 16 anni, la mansione che mi avevano assegnato era lavare i piatti. All’ora di pranzo, preparavano la pasta per il personale tranne che per me, perché mi dicevano che essendo una stagista non avevo diritto ad un piatto di pasta.
Un’altra cosa che mi è rimasta impressa è quando ho iniziato a lavorare in un fast food. Avevo iniziato da poco e andava tutto bene, finché un impiegato non ha cominciato a farmi delle domande private e spinte. Mi ha messo molto in imbarazzo e non gli ho mai risposto. Questa cosa è andata avanti per molto tempo, fino a che non ce l’ho fatta più e sono andata a dirlo al direttore. Non l’ha licenziato ma almeno ha smesso di importunarmi.
In tutti i posti di lavoro purtroppo non si può denunciare una molestia, soprattutto in Italia, perché tutte le aziende temono che possano esserci altre denunce.»
Poi aggiunge: «Mi è capitato di lavorare anche come artista di strada per un certo periodo, per aiutare un amico. Purtroppo, ho subito delle molestie, e anche facendo di tutto per evitarle non ci sono riuscita. Questa persona mi seguiva, mi minacciava, mi chiamava tutti i giorni e a tutte le ore, non mi dava tregua. Volevo solo lavorare ma lui non mi lasciava in pace. Ho provato ad andare dai carabinieri per denunciarlo, ma mi hanno risposto solo di cambiare numero. Un giorno si è presentato sotto casa, l’ho minacciato di chiamare la polizia e sono scappata a chiudermi dentro casa. Lui non si è presentato più.
In un tirocinio, invece, mentre stavo pulendo un macchinario mi sono tagliata con dei vetri. Sono andata dalla responsabile per chiedere il disinfettante e mi ha risposto “Non sgocciolare per terra, se no sporchi il pavimento”. Mi facevano sempre portare tanti pesi e adesso ho la schiena che mi fa male e una contrattura che si infiamma quando mi sforzo, oltre al dito a scatto per il quale ho dovuto fare un’infiltrazione.
Quando ho lavorato in una scuola dell’infanzia per il servizio civile, mi sono capitate delle colleghe che si comportavano come adolescenti. Mi dicevano sempre “Sei ingrassata, attenta che se continui così il tuo ragazzo non ti vorrà più”, mi hanno dato la colpa per aver rotto una tapparella che era già guasta e fatto altri dispetti.
Purtroppo si sa che l’ultima ruota del carro si prende sempre la colpa.»
D: Quali sono invece gli eventi positivi che ti sono capitati?
«Ad esempio, un giorno è successo che un cliente se l’è presa con me perché diceva che non gli avevo pulito il tavolo, mi aveva preso a parolacce e ha chiamato il direttore, ma per fortuna una mia collega mi ha difesa raccontando la verità al direttore. Senza di lei non mi avrebbe mai creduto e mi sarei presa una sgridata.
Quando ho fatto uno stage in una mensa inoltre mi trattavano molto bene, così come in un altro hotel dove ho lavorato e mi è dispiaciuto dovermene andare quando è scaduto il contratto».