Il conflitto arabo israeliano è una delle piaghe più sanguinose del nostro mondo e ciò che lo rende ancora più drammatico è che affonda le sue radici in secoli di storia e non dà speranze di soluzioni.
Era il 2 Novembre 1917 quando il ministro degli Esteri del Regno Unito, Arthur Balfour, inviò una lettera, poi nota come la “Dichiarazione Balfour”, con cui avrebbe creato uno squarcio in Medio Oriente che ancora oggi sanguina.
L’azione del ministro britannico va incastonata in un quadro diplomatico estremamente complesso: la Prima Guerra Mondiale era nel vivo, il Regno Unito non accennava a vincere in nessun fronte da ormai tre anni e le divisioni interne laceravano il paese. Cominciò a prendere piede il cosiddetto movimento degli “orientalisti”: uomini, tra cui il primo ministro Lloyd George e il ministro della Marina Winston Churchill, che ritenevano che l’esito della guerra si potesse cambiare soltanto colpendo gli alleati minori della Germania in Oriente. L’obbiettivo era soprattutto l’Impero Ottomano che controllava tutto il territorio tra Egitto e Iran. La via intrapresa fu sia militare, miseramente fallita, sia diplomatica; quest’ultima fu particolarmente vile e controversa. Già dal 1915 un inviato britannico, Henry MacMahon, scambiava lettere con lo sceicco Hussein di La Mecca, uno dei più importanti leader religiosi musulmani e un potente capo tribale arabo. Nelle lettere, MacMahon promise in termini estremamente ambigui che in cambio di una sollevazione degli arabi contro i turchi, Hussein sarebbe divenuto re di uno stato arabo indipendente dopo la guerra. Contemporaneamente un altro inviato britannico, Mark Sykes produsse assieme a diplomatici francesi un accordo che rimase segreto per molti anni: il “Sykes-Picot”, con cui il Medio Oriente veniva spartito tra territori sotto controllo diretto di francesi e britannici e territori sottoposti a un’indipendenza “nominale” degli arabi.

Azioni quelle britanniche che palesavano un crescente favore per gli Arabi residenti nel territorio controllato dell’Impero Ottomano, favore legato a interessi personali, certo, ma pur sempre atti di favore.
Ma il 1917 portò con sé un brusco cambio di rotta della diplomazia britannica, proprio con la “Dichiarazione Balfour”.
Il documento in questione deriva dall’abilità del leader sionista Chaim Weizmann (futuro presidente dell’Organizzazione Sionista Mondiale) che seppe manipolare il governo britannico a vantaggio degli ebrei, sfruttando proprio quei luoghi comuni infamanti di cui erano additati. Fece ritenere al Governo che realmente i rivoluzionari russi erano al soldo degli ebrei , che il mondo della finanza era nelle mani dei giudei e che era tutto vero quanto scritto nel famoso (e falso) “Protocollo dei Savi di Sion”: era certamente meglio mantenere il favore di questi “pericolosi ebrei” … insomma armato di grande furbizia Weizmann ottenne ciò che voleva: il Regno Unito ora guardava con favore agli ebrei.
La “Dichiarazione Balfour” è contenuta in una lettera ufficialmente inviata il 2 novembre 2017 dal ministro Balfour a Walter Rothschild, capo della Federazione Sionista Britannica. In realtà furono proprio Rothschild e Weizmann nei giorni precedenti a scrivere il testo della famosa dichiarazione.
Questo è il punto chiave della lettera:
“Il governo di Sua Maestà vede con favore la costituzione in Palestina di un focolare nazionale per il popolo ebraico, e si adopererà per facilitare il raggiungimento di questo scopo, essendo chiaro che nulla deve essere fatto che pregiudichi i diritti civili e religiosi delle comunità non ebraiche della Palestina, né i diritti e lo status politico degli ebrei nelle altre nazioni”
Il testo, però, è estremamente ambiguo: basta considerare la scelta (non casuale) delle parole per rendersene conto. Nella lettera, infatti, si usano espressioni come “il Governo ha simpatia per il sionismo” o ancora “vede con favore la creazione di un focolare nazionale” (il National home). In nessuna parte della lettera la Gran Bretagna si impegna espressamente alla realizzazione di uno stato ebraico. Un linguaggio estremamente (e volutamente) vago che non vincolava il governo britannico a nessuna posizione precisa e che ricalcava appieno gli altri documenti controversi di quegli anni. Del resto il termine “National Home” era stato inventato proprio per evitare di promettere agli ebrei un vero stato. Leggendo attentamente il testo, però, è evidente che alle comunità non ebraiche della Palestina (600mila persone, perlopiù arabi musulmani) venivano riconosciuti solo diritti civili e religiosi, non anche quelli politici. Per deduzione l’obbiettivo era uno: la nascita di uno stato ebraico.
Nonostante l’ambiguità e la segretezza dei rapporti diplomatici, una tale dichiarazione a nome del Governo britannico non poteva rimanere tra le fibre della carta. Così, il 9 novembre la “Dichiarazione Balfour” fu pubblicata sui quotidiani tra l’entusiasmo dei sionisti di tutto il mondo. Nei trenta anni successivi a quello storico novembre 1927 circa 400mila ebrei da tutto il mondo migrarono in Palestina, spinti dal sogno della “Terra Promessa” e dalla paura dell’antisemitismo imperante in Europa.

Quando i leader arabi lessero il testo della dichiarazione si sentirono traditi: infatti, avrebbero dovuto cedere agli ebrei parte dei loro territori, senza che nessuno li avesse consultati. Poco dopo, il regime bolscevico in Russia pubblicò anche i testi dell’accordo Sykes-Picot, che sarebbero dovuti restare segreti, rivelando al mondo che Regno Unito e Francia avevano segretamente complottato per spartirsi il Medio Oriente.
Il risultato di anni di diplomazia sottobanco, di intrighi e di ambiguità fu un grande e pericoloso pasticcio, in cui la Gran Bretagna si trovava obbligata a promesse contrastanti cui non avrebbe potuto dar seguito. Gli arabi insorsero più volte contro i coloni ebrei che avevano usurpato ingiustamente i loro territori; il governo britannico cercò di placare l’immigrazione di massa delle genti ebraiche, ma ormai la miccia era innescata.
Mentre il dramma dell’Olocausto creava simpatia per il popolo ebraico, il numero di coloni in Palestina aumenta a dismisura. La situazione era sull’orlo del precipizio. Al termine della Seconda Guerra Mondiale, dopo ben 31 anni, nel 1948 la Gran Bretagna si affrettò ad abbandonare la polveriera che aveva contribuito a creare. E molte potenze, che prima erano alleate degli arabi, si schierarono con gli ebrei vittime della guerra.
Questo è l’inizio di uno dei conflitti più complessi e duri del nostro tempo, un conflitto che ancora oggi non accenna a trovare soluzioni. È improbabile che lo Stato di Israele sarebbe esistito senza l’impulso iniziale dato dalla “Dichiarazione Balfour” al progetto sionista. Per troppe volte i paesi dell’Occidente sono intervenuti in questioni che non li riguardano, hanno acceso la miccia e poi se ne sono lavati le mani. Ora sarebbe giusto che i paesi occidentali smettessero di limitare la sovranità degli altri stati per i propri interessi, creando crisi politiche cui non sanno (o non vogliono) trovare soluzione.