Figli o carriera? È possibile conciliare lavoro e famiglia? È più importante l’uno o l’altra?
Sono queste le domande che, oggi come allora, attanagliano la mente di molte donne. Che però, secondo Paola Poli (consulente aziendale e autrice di “Donne che cambiano”) sono diverse rispetto al passato. La partecipazione delle donne al mercato del lavoro è aumentata.
Il management femminile ha subito una forte crescita, raddoppiando dal 2000 (10%) al 2010 (20%) ed è, secondo la Poli, un “acceleratore naturale” del cambiamento sociale e culturale che sta avvenendo. Una delle particolarità del fenomeno manageriale riguarda la grande fetta di donne che hanno meno di dieci anni di anzianità di servizio, quindi una spinta giovanile.
Nel 2010 le donne componevano il 60% dei laureati e il 70% dei laureati con 110 e lode. Tuttavia, se nel 2009 l’occupazione femminile raggiungeva il 46%, nel 2017 è arrivata al 48,8% (quasi 10 milioni): un numero record per il nostro Paese, mai visto prima. Un dato positivo? Sì, ma se pensiamo che l’Italia rimane al penultimo posto in Europa, superiore solo alla Grecia, c’è ancora poco da festeggiare. Una donna su due non lavora. L’unico lavoro in cui le donne sono più degli uomini in Italia è il ruolo di “collaboratrice”. E questo è il nostro periodo migliore, pensate un po’ com’era prima.
Ai vertici della classifica suddetta ci sono in ogni caso Svezia, Norvegia e Germania che superano il 71% di occupazione femminile.
Dimissioni e cultura aziendale
Pare che la difficoltà di conciliazione maternità-lavoro sia sentita più in Italia che in altri Paesi europei. Ne risente anche la cultura aziendale in tema, che all’estero è ben più premiante. Il 73% delle donne che lavora in azienda non ha figli e secondo l’ISTAT una donna lavora 57 ore settimanali rispetto alle 51 per gli uomini. In una relazione dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro (2016) le dimissioni/risoluzioni consensuali del rapporto di lavoro ammontano a 29.879 per le lavoratrici madri, delle quali 25.573 italiane, 2.079 europee e 2.227 cittadine extracomunitarie. La maggioranza si riferisce a lavoratrici con un figlio entro l’anno di età con anzianità di servizio da 1 a 10 anni.
I motivi delle dimissioni? Per citare alcuni dei più diffusi: incompatibilità tra occupazione lavorativa e assistenza al neonato per il non accoglimento al nido (l’ISTAT stima 22.5 posti disponibili in un asilo nido ogni 100 bambini), per assenza di parenti di supporto, condizioni di lavoro “particolarmente gravose o difficilmente conciliabili con la cura della prole”.
Laura Bruno, direttrice del personale di Sanofi Aventis, al convegno “La crescita del management femminile”, ha dichiarato:
Non sempre ho incontrato capi sensibili alla conciliazione famiglia-lavoro, ma in alcune multinazionali dove ho lavorato il mio intenso impegno lavorativo e la disponibilità alla rotazione di incarichi anche all’estero sono stati premiati. Per esempio, in Hewlett Packard sono stata nominata dirigente dopo alcuni mesi dal rientro dalla maternità e successivamente mi è stato affidato un prestigioso incarico di respon
sabilità internazionale con continui viaggi all’estero. A una giovane che volesse orientarsi verso lo sviluppo professionale suggerirei di non smettere mai di investire su se stessa in coerenza con i trend professionali, di vivere esperienze lavorative variegate anche all’estero, di rimanere sempre se stessa.
Gender gap: non solo economico
Il World Economic Forum ha posto l’Italia al 74esimo posto (2010) nella classifica dei Paesi con meno disparità femminile. Quali sono i fattori più penalizzanti?
La disparità di trattamento economico (reddito medio ridotto in certi casi fino al 20% in meno di quello di un uomo), difficoltà nel fare carriera (le donne dirigenti nel settore privato sono appena il 10%) e la nostra cultura del fare tardi. Sapevate che nei Paesi scandinavi è tutto il contrario? Le ore lavorative sono minori rispetto alla media italiana. Secondo diversi studi, lavorare meno aumenta la produttività e fermarsi a lavoro ben oltre l’orario consentito è pressoché inefficiente oltre a rendere difficile, se non impossibile, dedicarsi alla sfera personale.
Un altro problema è la nostra cultura. Per certe mentalità ancora radicate, consentitemi, alla preistoria, la donna italiana è veramente realizzata quando fa un figlio o “sposa un buon partito”.
E non dimentichiamoci della precarietà: se non c’è reddito sufficiente, non si fanno figli. E se si fanno, dai 31 anni in poi.
Quindi, dobbiamo proprio scegliere? Paola Profeta, docente associato alla Bocconi, afferma che:
È provato in tutti i paesi avanzati, in Nord Europa e Francia per esempio, che se sussistono alcune condizioni possiamo avere sia un elevato tasso di fecondità che di occupazione. Entrambe dipendono da condizioni di contesto che possono o agevolare tutte e due o ostacolare entrambi nella peggiore delle ipotesi come in Italia.
Di cosa c’è bisogno
Ciò che più si richiede in materia è un intervento pubblico con politiche adeguate, che trovi un rimedio al problema degli asili nido, che preveda un incentivo alle donne che dopo la maternità riprendano a lavorare, il “congedo dei padri esclusivo e non cedibile” (Profeta) per cambiare “la cultura che sia la donna a rimanere a casa ad occuparsi dei bambini; facilita la divisione della responsabilità della cura all’interno della famiglia, che noi sappiamo essere un presupposto fondamentale per un maggior equilibrio sul mercato del lavoro: se la coppia non riesce a dividere i carichi in maniera equilibrata, all’interno della famiglia sarà molto difficile che lo sappia fare nel mondo del lavoro: ci sarà sempre l’uomo che lavora, la donna un po’ meno o per niente”.
Il Lazio ha proposto ad esempio diversi bandi, tra i quali uno per madri rimaste senza lavoro e con figli minori di 5 anni a carico che preveda l’inserimento lavorativo di tipo subordinato o l’assistenza all’apertura di una nuova attività.
C’è poi la questione delle “quote rosa”, la serie di tutele giuridiche che garantisce un numero equilibrato di donne all’interno degli organi rappresentativi.
State a sentire
Perché se dopo aver guardato in questo panorama vi sentite un po’ desolati, è il momento di parlare di chi ce l’ha fatta. Cosa? Parlare della Ferragni? La conoscete fin quasi alla nausea, fra post e attenzione mediatica alle stelle. Oggi vi racconto tutt’altro.
Fabiola Gianotti e il CERN

Dal 2016 dirige il CERN. È la prima donna a farlo dal 1954. Fisica italiana laureata a Milano, ha meritato riconoscimenti, premi e onorificenze nel corso della sua brillante carriera. Partecipa all’esperimento ATLAS, il rivelatore di particelle da 7000 tonnellate che ha necessitato il contributo di 3000 scienziati e ingegneri, e alla ricerca sul bosone di Higgs, la “particella di Dio”. Professore onorario all’Università di Edimburgo, membro del comitato consultivo per la Fisica al Fermilab statunitense, all’Accademia dei Lincei e membro del Gruppo Bilderberg.
Viene posizionata al 5° posto della classifica Person of the Year del TIME (2012), la stessa dove Obama era il primo, e 78esima tra le 100 donne più potenti al mondo per Forbes, unica italiana insieme alla stilista Prada. Nominata nel 2014, tra le varie onorificenze, Cavaliere di gran croce dell’Ordine al merito della Repubblica Italiana.
Tra le sue passioni il pianoforte, nella quale è diplomata al conservatorio, le scarpe, la danza. Non è sposata ma non per la carriera: come dichiara in un’intervista, il CERN è un luogo che non bada a “genere, etnia, età e passaporto”. Contano le proprie abilità.
Samantha Cristoforetti, prima italiana nello spazio

Aviatrice, ingegnere aerospaziale, Ufficiale pilota dell’Aeronautica Militare, prima su 8.500 candidati a volare nella missione Sojuz TMA-15M e prima donna italiana nello spazio, la seconda a trascorrervi più giorni -quasi 200-. E sono solo alcune delle tappe della sua carriera incredibile. Non parliamo del suo addestramento! Anni di preparazione, studio, corsi di sopravvivenza, simulazioni in acqua ghiacciata, addestramenti sulle nevi in Russia. Una donna che si è fatta da sé.
Oltre l’italiano parla inglese, francese, tedesco e russo. Diventa perfino una Barbie-astronauta (dedicata a lei dalla Mattel), per dare l’esempio alle bambine. Nel 2016 ha avuto una figlia con il compagno Lionel e ha scritto “Diario di un’apprendista astronauta”.
Lucrezia Reichlin, l’economista della BCE

Dal 2005 al 2008 è stata Direttore generale della Ricerca alla Banca Centrale Europea. Figlia di un partigiano e deputato (Alfredo Reichlin), Nata a Roma, si diploma al Liceo Tasso e si laurea all’Università di Modena in Economia. Consegue il dottorato di ricerca in Economia alla New York University negli anni del terrorismo delle BR.
Insegna dal 2008 alla London Business School. Dopo essere stata consigliere non esecutivo nel CdA di Unicredit diventa vicepresidente (2018) del CdA di Banca Carige. In un’intervista dichiara: “Ho rimandato [la scelta di fare figli] fino all’ultimo […]. Noi donne siamo neofite delle carriere e quindi tendiamo a esagerare nel lavoro e nelle rinunce”.
Consiglia poi di fare figli prima, per evitare che si ritardi troppo o che si finisca col rinunciare. Il mondo della Reichlin, quello della finanza, è perlopiù maschile e lei stessa non è stata risparmiata da alcuni comportamenti misogini da parte dei colleghi.
Silvia Candiani e la carriera in Microsoft

Amministratore delegato della Microsoft Italia. Prima donna nel suo ruolo. Ferma sostenitrice della leadership imprenditoriale femminile. Ha avuto esperienze in molte aziende, alcune delle quali Vodafone e McKinsey. Si laurea alla Bocconi. Ha due figli, un marito, ama la barca a vela e gli sci. Consiglia di avere una grande organizzazione per bilanciare sfera lavorativa e familiare e un uomo al proprio fianco che sappia incoraggiare, supportare e dividere le responsabilità in famiglia.
In conclusione
Se pensiamo sia un bivio, in realtà è un’unica strada. La nostra vita può essere segnata dalle scelte che riteniamo più opportune, ma quando pensiamo di dover fare una rinuncia o un sacrificio senza vie di uscita, ricordiamoci che queste (solo alcune delle) incredibili donne italiane hanno dimostrato il contrario. Ci saranno sempre ostacoli e momenti difficili, ma con l’intuito e il buonsenso è possibile evitare di precludersi occasioni che si potrebbe un giorno rimpiangere.
Il cambiamento è iniziato.