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L’inferno in terra – Cosa succede in Siria?

Guerra civile in Siria: gli avvenimenti, tra tregue, bombardamenti e abusi

Dopo quasi tre giorni di trattative serrate e rinvii, anche la Russia, alleata di Assad, ha votato a favore della risoluzione ONU per la tregua umanitaria in Siria. Dal cessate il fuoco sono stati esclusi gli attacchi contro ISIS, al Qaeda, al Nusra e altri gruppi, individui ed entità affiliati con terroristi. Un’esplicita richiesta di Mosca, che dal 2011, anno in cui è iniziata la guerra civile, ha posto ben undici volte il veto su risoluzioni riguardanti la Siria.

La risoluzione, approvata il 24 febbraio, non prevede nessun accordo di pace per il Paese, ma dovrebbe almeno consentire l’accesso ai corridoi umanitari in Siria. Purtroppo, però, la risoluzione non indica una data per l’entrata in vigore del cessate il fuoco e questo sta creando grande incertezza, i bombardamenti non sono ancora stati interrotti e i civili continuano a morire. Cresce la tensione in uno Stato martoriato da una guerra che si protrae da ben sette anni e di cui a oggi non si intravede una soluzione, resa ancora più difficoltosa dal groviglio di interessi dei diversi attori esterni: dalla Turchia alla Russia, dall’Iran agli USA.

In questa situazione l’Unione Europea potrebbe giocare un ruolo importante.

L’Alto Rappresentante UE, Federica Mogherini, durante il Consiglio dei Ministri degli Esteri tenutosi a Bruxelles il 26 febbraio, ha espresso grande preoccupazione per l’aumento delle operazioni militari in tutta la Siria, sia da parte dei diversi attori sul campo, sia, soprattutto, da parte del regime di Bashar al Assad e dei suoi sostenitori. La Mogherini ha inoltre sottolineato la responsabilità dei tre garanti del processo di negoziazione di Astana (processo nato per creare zone di distensione), vale a dire la Turchia, l’Iran e la Russia; tre Paesi, pervasi da tensioni interne e interconnesse con relazioni diplomatiche a livello mondiale, che, secondo l’Alto Rappresentante UE dovrebbero attuare un processo di de-escalation e non un’escalation di violenze.

Ma i fatti non stanno così. Il 20 gennaio, Erdogan ha dato inizio all’operazione “ramo d’ulivo” (che ossimoro!) bombardando senza sosta la zona di Afrin, enclave curda nella Siria settentrionale per sottrarre il territorio alle Unità di protezione popolare (YPG) curde. A partire dagli ultimi giorni, ad Afrin hanno cominciato a convergere anche le milizie della Forza Nazionale di Difesa (NDF), che rispondono a Bashar al-Assad. L’invio, da parte di Assad, di formazioni paramilitari anziché delle forze armate regolari è un duplice messaggio: alla Turchia, che Assad non intende rinunciare all’integrità territoriale della Siria; ai curdi, che possono trovare tutela e protezione solamente nel governo centrale di Damasco, con la speranza di una forma di autonomia regionale.

La tensione tra Ankara e Damasco si ripercuote nei rapporti tra Washington e Mosca: un anno fa USA e Russia si sono spartiti l’intera zona in due aree di influenza, a est dell’Eufrate gli Usa, a ovest la Russia con l’obiettivo di sconfiggere ISIS. Una volta vinto, gli Stati Uniti avrebbero dovuto ritirarsi dalla zona, ma ora che il regime di Al-Baghdadi sembra quasi aver ceduto non vi è alcun segnale di ritirata americana; anzi, l’azione statunitense in Medio Oriente sembra essere indirizzata al contenimento dell’influenza iraniana nella regione. Siamo al paradosso: Erdogan vuole il cantone curdo di Afrin, ma la Russia (che pure è alleata della Turchia) sostiene i curdi, Assad vuole mantenere l’unità della Siria contro la Turchia e conta sull’appoggio di Putin e, infine, gli USA sono alleati dei curdi ma contro Assad e contro la Russia. Un groviglio inestricabile che ben mostra la difficile crisi siriana.

In tutto questo l’Unione Europea resta ai margini, con la sua politica di soft-power non riesce a diventare fulcro delle relazioni geopolitiche nella regione siriana. I paesi membri rifuggono da interventi militari classici, preferendo invece l’assistenza alla società civile e le missioni di mantenimento della pace; o almeno tutti tranne Francia e Gran Bretagna, ora con la Brexit quasi fuori dai giochi, che sono nazioni da sempre maggiormente rivolte a sentimenti “imperialisti”.

E invece spetta proprio all’Unione Europea lavorare per un processo di peacekeeping in Siria che sia duraturo e nell’interesse della popolazione. L’UE con la sua struttura, i suoi successi per la pace interna, potrebbe essere la chiave di volta. A più riprese il Consiglio ha espresso con toni durissimi il proprio disappunto nei confronti del regime di Assad, dei suoi metodi violenti e delle violazioni e abusi dei diritti umani, come pure le violazioni del diritto umanitario internazionale ad opera di tutte le parti, in particolare proprio del regime siriano; l’UE ha, inoltre, predisposto numerose restrizioni alla Siria finché durerà la repressione.

L’obiettivo comunitario è quello di realizzare la pace tramite una transizione politica, nella convinzione che non vi possa essere una soluzione militare al conflitto. L’Unione Europea dall’inizio del conflitto ha stanziato più di 9,5 miliardi di euro per salvare vite umane affrontando le esigenze umanitarie della fascia più vulnerabile della popolazione siriana in tutto il paese e oggi chiede a una voce l’inizio del cessate il fuoco.

Le tensioni in Siria sono animate anche nel sud del Paese, nella periferia di Damasco, nella zona di Ghouta est, ultima enclave siriana controllata dai ribelli. Già a novembre, il regime ha totalmente bloccato ogni accesso a quest’area, isolandola e causando un’emergenza umanitaria di proporzioni enormi. I raid aerei degli ultimi giorni sono solo l’atto finale dell’operazione volta a ristabilire il controllo governativo in questa roccaforte ribelle troppo vicina a Damasco. [foto]

Come se non bastasse, negli ultimi giorni uno scandalo scuote il mondo delle ONG che svolgono soccorsi umanitari in Siria. Donne siriane sono state abusate da operatori dell’ONU e di altre ONG che scambiavano cibo e altri aiuti con «favori sessuali». Lo rivela in un’intervista alla BBC la cooperante Danielle Spencer. Un fenomeno così diffuso, racconta, che molte donne siriane ormai si rifiutano di andare presso i centri di distribuzione degli aiuti perché temono di essere “ricattate”. Spesso sono le stesse organizzazioni umanitarie a “tollerare” questo sistema perché è l’unico modo per raggiungere regioni altrimenti irraggiungibili per i corridoi umanitari.

Ma c’è dell’altro. È lo spettro della Corea del Nord che incombe su una situazione già molto complicata. In un rapporto delle Nazioni Unite sul rispetto dell’embargo imposto alla Siria, risulta che sarebbe stata proprio la Corea del Nord a fornire le armi chimiche, o quanto meno materiali indispensabili per la loro preparazione, al regime di Damasco. È il New York Times a pubblicare la notizia e i dettagli del traffico di materiali tra Siria e Nord Corea. Ed è proprio con queste armi chimiche che il regime di Assad avrebbe eseguito un attacco chimico nel Ghouta orientale, nonostante le cinque ore di tregua giornaliere (dalle 9 alle 14) concesse da Putin.

Solo nell’enclave di Ghouta dal 18 febbraio, inizio dell’assedio, sono morti ben 700 civili di cui oltre 200(!) sono bambini. Bambini che la notte piangono terrorizzati, che muoiono di fame e sotto le bombe. È ora che i leader mondiali mettano da parte i propri interessi per la salvaguardia dei diritti umani. È ora di far cessare questo inferno in terra, come è stato definito dal Segretario Generale dell’ONU, Antonio Guterres. Da sette anni in Siria vi sono bombe e morte: facciamo in modo che questo Paese smetta di essere la tomba dell’umanità e torni a essere una regione meravigliosa da visitare e amare.