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Marco Vassalotti e il suo diario per Patrick Zaki

Voglio solo tornare a studiare, #freepatrick

“Voglio solo tornare a studiare”, è un e-book gratuito disponibile sul sito della casa editrice People e curato da Marco Vassalotti. Non si tratta semplicemente di un racconto, ma di un diario scritto per lo studente egiziano Patrick Zaki, arrestato dalle autorità egiziane per presunta propaganda sovversiva contro il regime di Al-Sisi. Abbiamo intervistato l’autore per i lettori di Officina Magazine.

In che contesto è nata l’idea di elaborare questo diario scritto pensando all’ingiusta detenzione di Zaki?

Il contesto è quello dell’attenzione di People per le storie e per i diritti umani, in ogni parte del mondo: nel 2019 la casa editrice aveva pubblicato un diario tenuto da Angelo Ferrari sul rapimento di Silvia Romano, che insieme all’impegno quotidiano di Giuseppe Civati aveva contribuito a tenere alta l’attenzione sul suo caso. Allo stesso modo, abbiamo pensato di tenere un aggiornamento periodico sull’arresto di Patrick Zaki e sulle voci che ogni giorno chiedevano con forza un impegno delle istituzioni italiane per la sua liberazione.

Poi – non posso negarlo – c’è anche una dimensione molto personale: Patrick, in fin dei conti, è uno studente  fuorisede come lo sono stato io, che ha fatto la cosa più normale del mondo (andare a Bologna a studiare la materia che gli interessa), che ha fatto un’altra cosa normalissima (tornare a casa a trovare i suoi parenti) e che però si è ritrovato in una situazione assurda, in un carcere di massima sicurezza, per mesi isolato dai suoi affetti e dal mondo nel mezzo di una pandemia.

È una storia che ci riguarda, in cui ci si può riconoscere e che proprio per questo terrorizza.

Quello che sta vivendo Patrick ci riporta subito con la memoria al caso Regeni: due vicende con molti punti in comune. Perché l’opinione pubblica, adesso totalmente concentrata sulla pandemia, parla in modo distratto di questi fatti?

È così e a mio avviso c’è più di una ragione: l’idea che la sua storia non ci riguarda, perché formalmente Patrick non è cittadino italiano e la sua prigionia avviene a migliaia di chilometri di distanza; l’idea che i diritti siano una questione tutto sommato secondaria, che viene dopo le altre; una generale mancanza di empatia nei confronti del prossimo che colpisce ancora troppe persone, in questo Paese e non solo. Ma va anche detto che nel tempo le voci di attivisti, artisti, politici o semplici cittadine e cittadini che chiedono al governo italiano e all’Unione Europea di interessarsi al suo caso sono diventate più numerose, e più forti, costringendo il Ministero degli Esteri e l’Ambasciata d’Italia al Cairo a parlare del suo caso, cosa che per mesi hanno evitato di fare. È una piccola vittoria, ovviamente non può bastare, ma è un primo passo avanti.

Il silenzio europeo sulla violazione dei diritti umani in Egitto è sconcertante. Ma anche l’ambiguo rapporto tra l’Italia e il regime di Al-Sisi desta non poche perplessità. Secondo lei perché nessuno si scaglia apertamente contro le ingiustizie perpetrate dal governo egiziano?

Non credo di affermare niente di sconvolgente se dico che gli interessi economici sono enormi e per molti hanno più importanza: penso alla questione della vendita delle armi (peraltro a mio avviso in violazione della legge 185/1990, che vieta la vendita di armamenti ai paesi in guerra o che violano i diritti umani), alla partita libica (in cui l’Egitto gioca evidentemente un ruolo, se non altro per vicinanza geografica), agli interessi delle compagnie energetiche che hanno siglato accordi molto impegnativi con il governo del Cairo. Qualche voce però c’è, e si fa sentire: oltre alla nostra, voglio ricordare quella di artisti come Mauro Biani e Gianluca Costantini, quella di molti giornalisti (impossibile citarli tutti qui) e di associazioni come Rete Disarmo e Amnesty International.

Cosa potrebbe concretamente fare l’Unione Europea per uscire dall’ombra?

Far pesare il proprio ruolo e la propria influenza: l’Europa è un continente molto grande, con molti paesi influenti, ed è a due passi dall’Egitto. Se è vero che l’interlocuzione con l’Egitto può essere importante per l’Europa (come viene ribadito ogni volta che chiediamo un gesto forte nei confronti delle violazioni dei diritti umani che lì avvengono), è altrettanto vero che l’interlocuzione con l’Unione Europea e i suoi Stati Membri è imprescindibile per l’Egitto e per i suoi interessi.

Un’Europa che ribadisse con convinzione il suo impegno per i diritti umani sarebbe un fatto con cui il governo egiziano dovrebbe necessariamente fare i conti. Certo, fin quando si continuerà ad andare avanti come se nulla fosse, tra accordi commerciali e onoreficenze ad Al-Sisi, sarà difficile che la voce delle istituzioni europee possa essere decisiva per i tantissimi attivisti dei diritti umani, giornalisti o semplici oppositori politici imprigionati o minacciati in Egitto.

Il messaggio è dunque quello di non rimanere indifferenti di fronte a una vicenda che ci vede tutti coinvolti e partecipi, perché manifestare liberamente il proprio pensiero è un diritto e come tale va sempre garantito e soprattutto protetto. La storia di Patrick Zaki è già stata vissuta, cerchiamo di fare in modo che nessuno la viva più.