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Non dobbiamo bellezza a nessuno

Canoni estetici, peso e salute: cosa si cela davvero dietro i nostri corpi?

Adele è una cantante straordinaria, pochi sarebbero disposti ad affermare il contrario. Eppure, nel corso dei suoi ormai diversi anni di carriera, un argomento in particolare, poco attinente con la musica, ha tenuto banco almeno tanto quanto l’incredibile voce di questa artista: il suo peso.

Ha di recente fatto scalpore l’evidente perdita di peso che Adele ha affrontato negli ultimi mesi. C’è chi ha addirittura sostenuto di non averla riconosciuta a una festa che si è tenuta dopo la cerimonia degli Oscar di quest’anno.

Molti, fan o meno, si sono detti preoccupati per la sua salute. Probabilmente sono gli stessi che solo poco tempo fa si sentivano in diritto di dire la medesima cosa quando Adele pesava 30 chili in più.

E forse per esercitare lo stesso diritto Marco Masini si è rivolto ad Elodie poco prima che quest’ultima salisse sul palco dell’Ariston durante il recente festival di Sanremo dicendole :”Quant’è che non mangi?”

Il punto è proprio questo: la libertà che sentiamo di poter esercitare ogni volta che si tratta di commentare il corpo degli altri.

Il passo dal giudizio non richiesto all’insulto vero e proprio è di solito molto breve: body shaming è, infatti, quell’insieme di comportamenti che mirano a far sentire una persona in difetto per via del suo aspetto fisico. Esso colpisce tutti i corpi indistintamente: prende il nome di fat shaming se a subirlo sono persone in sovrappeso, thin shaming se si tratta di persone magre.

E se è vero che sia uomini che donne vengono discriminati a causa di un corpo non conforme, il doppio standard viene spesso in aiuto dei primi facendo loro una maggiore concessione anche per quanto concerne l’aspetto fisico. E se è altrettanto vero che la nostra società premia la magrezza, lo fa solo fino a un certo punto perché poi si perdono quelle caratteristiche stereotipiche ritenute attraenti in un corpo, maschile o femminile che sia.

Ad ogni modo, la normalità continua ancora ad essere quella rappresentata dai corpi magri e a farne le conseguenze sono soprattutto le donne, costrette ad aspirare a canoni di bellezza inarrivabili.

Quante volte abbiamo detto per denigrare una persona :”È ingrassata”? Quante volte abbiamo detto per complimentare una persona :”Sei dimagrita”? Perché associamo la bellezza al peso? Perché la bellezza deve sempre essere il primo complimento che ci viene rivolto? Se una persona ha preso o perso peso non potrebbe anche essere dovuto a sofferenze di cui noi non siamo a conoscenza?

Dobbiamo imparare a smettere di commentare il corpo degli altri.

Siamo totalmente immersi in quella che prende il nome di diet colture: pensiamo sempre di avere dei chili da perdere, di non essere abbastanza magri, siamo tutti insoddisfatti dei nostri corpi, costantemente in ansia di doverli controllore e tenere sotto controllo. Basti pensare a quanto si sia diffusa l’industria delle diete negli ultimi anni e alla più generale grassofobia imperversante nella nostra società.

Chi sostiene che mostrare corpi grassi non sia di buon esempio usa di solito come argomentazione finale il dirsi preoccupato per la salute delle suddette persone grasse. Diciamoci la verità: la frase :”Lo dico per il tuo bene” ha mai davvero aiutato qualcuno? Non si aiuta una persona non in salute dicendole che non è in salute. E se quest’ultima non non è in salute davvero, fidatevi, lei lo sa già e non ha bisogno che voi glielo ricordiate continuamente.

La verità che quelli che giudicano costantemente i corpi altrui faranno fatica ad accettare è che nulla di tutto ciò ci compete.

Il corpo è una faccenda privata, così come lo è la salute.

Gli esseri umani non devono bellezza a nessuno, così come non devono salute a nessuno.

Mostrare corpi non conformi non è sbagliato, non dà il “cattivo esempio”, ma serve per far sentire rappresentate quelle persone, per dare loro visibilità, per non farle sentire inesistenti. A chi controbatte dicendo :”Ma la salute?” si dovrebbe chiedere perché non dica lo stesso e con la medesima veemenza a chi fuma o beve alcol. O forse questo non succede perché fumo e alcol sono ormai socialmente accettati?

Dimentichiamo spesso una cosa: non siamo medici, non abbiamo alcun diritto di giudicare un corpo usando come insulti quelli che sono attributi che identificano una condizione fisica e/o medica. Malattie, problemi di salute, disturbi alimentari non si diagnosticano da una semplice occhiata esterna: essi non hanno forma aspetto fisico.

Ritornando alla questione dei corpi non conformi che meritano rappresentazione, bisogna ovviamente menzionare il movimento della body positivity. Sdoganato ormai dai più con il significato di “ama il tuo corpo”, dietro la body positivity c’è un significato molto più profondo che ben poco ha a che fare con quelle grandi marche che si fingono inclusive per lucrare sulla visibilità del movimento stesso, ma poi non vanno oltre la taglia 46.

La body positivity prevede innanzitutto l’accettazione della non accettazione: non piacersi è spiacevole, ma normale e per nulla semplice visti i canoni estetici improbabili che la società ci impone. Il secondo aspetto fondamentale di questo movimento è che esso sostiene che ogni corpo è valido, ogni corpo merita rispetto anche se non viene considerato bello, anche se non è conforme.

È questa la differenza fondamentale rispetto a quell’idea mainstream di body positivity che si sta sempre più diffondendo: posto che siamo riusciti ad apprezzare il nostro corpo anche se esso non è conforme ai canoni di bellezza dominanti, ciò non è sufficiente perché il mondo continuerà a farci subire body shaming e a farci sentire sbagliati.

Per questo nella body positivity, come nel femminismo e nella più generale rivendicazione dei diritti civili, una parte fondamentale è rappresentata dall’attivismo.

Un piccolo, ma fondamentale passo in tal senso che tutti possiamo e dobbiamo compiere è sospendere il giudizio sui corpi altrui.

Appariremo gli uni agli altri immediatamente più belli, provare per credere.