‘Gondolieri sub: nuova immersione nei canali di Venezia, recuperati 800 chilogrammi di rifiuti’
‘Perchè si vieta di aprire B&B a Venezia, ma può aprire un grande albergo?’
‘Rottura tubo dell’acqua a Venezia, ma continuano ad arrivare turisti. “E questi dove vanno?”: scoperti B&B e affittacamere abusivi’
‘Barche sequestrate a Venezia, erano “alberghi galleggianti”’
‘Ormai si ha la sensazione che i residenti siano di intralcio ai turisti’.
Questi sono solo pochi esempi di alcune testate giornalistiche apparse negli ultimi mesi, anzi giorni, a Venezia. Città sempre di più tormentata dalla concezione moderna di viaggi e dal turismo, con i suoi vantaggi e svantaggi, meglio definito turismo di massa.
Alcuni mesi fa un anziano veneziano scrisse:
‘Venezia è grande meno di un quartiere di Parigi. Non ha parchi e panchine sufficienti per 25 o 30 milioni di turisti. Il turista farebbe bene ad informarsi di dove sta andando, che Venezia é meno grande di un quartiere di una grande città. È un centro storico unico e fragile che non è Gardaland. Sono un veneziano settantenne che vorrebbe amare la sua città che non esiste più. Venezia è un centro storico unico e fragile, non è Gardaland.
Sandro’
L’overturismo
Venezia è una città difficile e lo è anche per quei 50 mila che ancora si ostinano a cercare di capirla con gentilezza e pazienza, cercando di aiutarla nonostante il caro prezzo. Quest’ultimo non è riferito solo in senso economico però, anzi, parliamo di termini sociali, di vita quotidiana, di comodità. Le persone che attualmente abitano a Venezia, che vivono magari da anni o da tutta la vita in laguna, sono poche, davvero poche, una piccola popolazione quasi sperduta circondata da 30 milioni di turisti l’anno, i quali continueranno imperterriti ad aumentare nonostante non portino ricchezza né alla città né ai suoi cittadini. Quanti sono poi i gestori e lavoratori del turismo che abitano nel comune, ma non in isola? Tanti, la maggior parte. Vivrebbero lì? Probabilmente no o forse molto prima era la loro residenza poi sono stati costretti a scappare.
Possiamo infatti definire il fenomeno che affligge maggiormente il territorio veneziano con il termine di ‘overturismo’. Quest’ultimo rappresenta la situazione in cui l’impatto del turismo, in determinati periodi e in determinate località, supera le soglie di capacità fisica, ecologica, sociale, economica psicologica e/o politica e un contributo importante è fornito anche dalle piattaforme social che ormai vengono sfruttate dagli utenti per scegliere la destinazione più attraente. Una “toccata e fuga”, una fotografia, un selfie da sfoggiare agli amici. L’importante, dopotutto, è ciò che appare sui social: publico ergo sum. Il turista-selfie è disposto a visitare posti che non lo interessano minimamente, ma che siano notoriamente riconosciuti come famosi. Di conseguenza Venezia assume il ruolo di meta obbligatoria in quanto universalmente conosciuta.
La realtà veneziana
Una realtà confermata anche dagli addetti ai lavori. “Buona parte degli ingressi – spiega una barista di Piazza San Marco – è costituita da turisti che pretendono di immortalarsi all’interno senza consumare neanche un caffè”. Èd proprio qui che ha inizio quel tipo di turismo che provoca solo danni al luogo. La condivisione compulsiva di immagini collaborerebbe al consumo eccessivo delle città, delle isole, delle aree archeologiche e naturali, senza per altro raccontarne la vera bellezza, ma usandole spesso come sfondi per soddisfare quello strano appetito che costringe le persone a mangiare sé stesse pur di rimanere in primo piano. A tutto ciò si somma la produzione di rifiuti, un maggiore inquinamento dovuto al numero giornaliero di autobus da turismo e aerei e il comportamento spesso maleducato dei visitatori che va di pari passo con il progressivo degrado ambientale, i danni ai monumenti storici, la perdita di identità della città, l’aumento del costo della vita.
Ipotetiche soluzioni
Mettere una tassa per il biglietto d’ingresso potrebbe dunque in un certo senso arrestare o comunque regolare gli ingressi? In parte può essere o forse rischierebbe solo di accrescere i flussi di denaro, privilegiando ancora una volta solo una parte della popolazione mondiale, creando maggiore divario socio economico, rendendo a pagamento ciò che non dovrebbe esserlo, vale a dire la cultura, e facendo sì che i turisti abbiano ancora di più la sensazione di visitare una città come Disneyland, noncuranti della storia e della preziosità di quest’isola.
È anche vero, però, che si riuscirebbe a conteggiare, almeno in maniera più o meno precisa, il numero di persone che effettivamente giornalmente entrano in città. Spesso sentiamo citare numeri giganti di ingressi oppure leggiamo sui giornali testate quali ‘Venezia presa d’assalto, quasi 200 mila arrivi in 48 ore’. La verità, però, è che a Venezia è molto difficile riuscire a reperire il numero effettivo di presenze dovute proprio all’estremo turismo di massa e a questo turismo cosiddetto mordi e fuggi, che, ancora di più, pesa sul territorio tanto che alla mattina vede arrivare ondate di persone contraddistinte da zainetti in spalla e, alla sera, vede svuotare una città alla quale non rimane altro che la stanchezza.
Viaggiatore o Turista?
Anni fa un grande giornalista e scrittore veneto, Guido Piovene, disse “Mi chiedo se saprò veramente vedere una città come Venezia”. Al contrario, oggi, pochi hanno idea di cosa osservano e probabilmente non si pongono nemmeno il quesito. L’importante è vedere, non osservare, non fermarsi, semplicemente andarci, immortararlo e girarsi dall’altra parte senza sapere la storia. Fotografare e andare oltre, senza soffermarsi su quei particolari che la rendono così unica. I luoghi incontaminati vengono quindi contaminati, modificati da un’accoglienza massiccia, sovradimensionata e forse non del tutto consenziente.
Il turismo di massa, però, non è un fenomeno recente, anzi, risale al 5 luglio del 1841, quando l’imprenditore e pastore britannico Thomas Cook organizzò il primo viaggio di 11 miglia da Leicester a Loughborough e 570 persone, inconsapevolmente, dettero inizio al cosiddetto concetto moderno di turismo organizzato. Iniziarono così a fondersi due diversi approcci di viaggio alla scoperta del mondo che fino ad allora non erano mai stati allineati, il ‘turista’ e il ‘viaggiatore’.
Bernardo Bertolucci ne Il tè nel deserto dirige un dialogo molto importante tra i due protagonisti Kit Moresby e George Tunner:
“Tunner, noi non siamo turisti, siamo viaggiatori”
“Ah, e che differenza c’è?”
“Un turista è quello che pensa al ritorno a casa fin dal momento che arriva, laddove un viaggiatore può anche non tornare affatto”
La distinzione coglie indubbiamente quel qualcosa che forse potrebbe essere applicabile ai giorni nostri. Se provassimo ad avere una mentalità più vicina a quella dei viaggiatori e meno a quella dei turisti avremmo un occhio maggiormente perseverante e curioso nei confronti dei luoghi che visitiamo.