Nelle sale di tutta Italia è uscito Parasite, un interessante thriller psicologico che ha sbaragliato tutti agli Oscar vincendo come miglior film, miglior film internazionale, miglior regia e miglior sceneggiatura originale.
La trama è alquanto composita: una famiglia molto povera, quella dei Kim, inizia a lavorare per una famiglia molto ricca, quella dei Park. In principio è soltanto il figlio più giovane a dare ripetizioni alla figlia più grande dei Park, fingendosi uno studente universitario, ma successivamente si ritroveranno tutti a vivere alle spese di questi ultimi, mentendo sulle loro identità e sui lavori precedenti, proprio come “parassiti”.
In sequenze piene di colpi di scena, cambi di inquadratura, rovesciamento dei ruoli e arrivi inaspettati, il film riesce a tenere attivo lo spettatore per più di dure ore, continuando a mescolare diversi generi cinematografici e a sradicare ogni certezza acquisita durante la visione.
Ad un certo punto si è quasi rapiti dalle riprese e ci si ritrova a non rendersi conto di essere seduti su una comoda poltrona del cinema di quartiere. È come se si venisse trasportati nel film ed esserne in qualche modo parte, tanto che si vorrebbe urlare per tutte le emozioni che riesce a suscitare.
Emergono tantissime riflessioni e spesso molto diverse, però nascono tutte dalla forte critica sociale che la pellicola fa e porta avanti.
Quando si guarda un film, si individuano quasi sempre due poli opposti e si cerca di patteggiare -seppur implicitamente e con le dovute eccezioni e accezioni- per l’uno o l’altro; qui, al contrario, non si riesce a trovare un polo per cui schierarsi, perché la scrittura dei personaggi è talmente variegata da non consentirlo.
Vengono messe in evidenza tutte le sfumature dell’animo umano fino ad annullare le differenze tra chi è ricco e chi è povero, perché, se messi in determinate situazioni, gli esseri umani seguono soltanto l’istinto di sopravvivenza.
Ma ecco che qui la regia sovverte quanto appena detto: nonostante si pensi a mettersi in salvo, arriva il colpo di grazia e riemergono i vecchi contrasti che rimettono in gioco tutto il film.
Lo spettatore cerca una giustificazione ad un determinato comportamento, quasi a spiegare la propria decisione di compassione o sostegno ad un personaggio o ad un altro, peccato che non riesca a trovarla e quindi ci si ritrovi in uno stato talmente confuso da uscire dal cinema ammutoliti e stupiti al tempo stesso.
Il film è stato prodotto, messo in scena e diretto in Sud Corea. Si potrebbe pensare che alcune dinamiche sociali vengano meno dato che il film giunge in Occidente, quindi in una cultura molto diversa da quella asiatica, e in doppiaggio; e invece no, perché le differenze vengono assottigliate proprio da ciò che dicevo prima: l’essere umano si comporta allo stesso modo ovunque.
Senza anticipare troppe cose, ci sono due scene che mi hanno fatto riflettere molto: la prima riguarda un momento in cui arrivano altri personaggi che si scontrano con i Kim in una lotta che oserei definire tra uguali, mentre la seconda presenta il solito binomio ricco-povero.
Partiamo dalla prima: ci troviamo a film inoltrato e, per quanto le cose stiano scorrendo fluidamente, arriva il momento che sovverte le carte in tavola. Nello scantinato della casa scopriamo che vive il marito della precedente governante ed è lui stesso un parassita, perché la moglie, quando lavorava in quella casa, lo aveva nascosto lì sotto a causa di alcuni debiti e gli portava di nascosto il cibo.
Appena i Kim scoprono tutto ciò, vorrebbero denunciare l’accaduto ai Park, trasformandosi da vittime a carnefici, perché, ricordiamolo, loro stessi vivono alle spalle di questa famiglia; ma l’ex governante -rientrata in casa grazie alla nuova governante e portata nel sotterraneo- in seguito ad una scena quasi ilare nella sua serietà, scopre la messa in scena della famiglia Kim. A questo punto ci aspetteremmo una collaborazione tra le due donne, tra le due famiglie uguali, eppure non avviene. Infatti inizia una lotta concitata tra le due “famiglie” e qui entra in gioco l’animo umano: la lotta per la sopravvivenza.
Per la seconda dobbiamo mettere in campo più avvenimenti: a causa di un brutto uragano, la casa dei Kim si allaga e sono costretti a dormire nella palestra di una scuola insieme ad altri sfollati. Al mattino -vestendosi di abiti racimolati in giro- vengono chiamati dai loro datori di lavoro e accettano di andare a lavorare anche quel giorno.
In questo punto mi sono posta alcune domande: hanno accettato perché sarebbero stati pagati lautamente o per il fatto di non potersi tirare indietro di fronte a qualcuno che -nel bene o nel male- aveva bisogno di loro? Me le sono poste, perché a fine film viene meno questa componente -in una scena che ora non sto a spiegare onde evitare troppi spoiler- e, dunque, continuo a cercare una risposta ai precedenti quesiti.
Tornando ai Kim che vanno a lavorare nonostante la disgrazia appena accaduta, li ritroviamo tutti insieme che aiutano a preparare una festa di compleanno per il figlio più piccolo dei Park. Al che, il signor Kim aiuta la Signora Park con la spesa e in macchina, la seconda, esprime tutto il suo sollievo nei confronti della pioggia che ha portato via “l’inquinamento”; il volto dell’autista si fa cupo e noi spettatori riusciamo a leggere nei suoi occhi tutto il dissenso per l’affermazione appena sentita. Ci sentiamo di sostenere l’autista, perché è il povero, ha appena perso tutto, è costretto a sorbirsi un discorso su quanto sia bella la pioggia che pulisce la città, quando lui, proprio a causa della pioggia, ha perso tutto. La signora Park, oltretutto, non sopporta l’odore del Signor Kim e lo definisce “puzza di povertà”.
A questo punto cosa sarebbe più naturale fare? Stare dalla parte di chi è stato offeso? Però egli stesso si è comportato quasi allo stesso modo, rubando un’identità e sfruttando la famiglia ricca. Giustificare il ricco, perché tanto è abituato a comportarsi così e non potrà comprendere altre dinamiche sociali? Cercare un’altra via di fuga e comprendere cosa abbia causato la concatenazione di tutti i comportamenti che hanno avuto, inevitabilmente, una reazione uguale e contraria?
Ai posteri l’ardua sentenza.