Si è conclusa sabato 5 febbraio 2022 anche la 72esima edizione del Festival di Sanremo, la terza diretta e condotta da Amadeus. Al presentatore sono toccate edizioni non facili, la prima un ultimo spiraglio di normalità prima di sprofondare nella pandemia, la seconda l’anno scorso in piene restrizioni con la platea dell’Ariston vuota, prima volta nella storia. E poi quella appena conclusa, segnata da una ripresa alla normalità e la voglia di ricominciare tutto.
Sanremo da sempre è uno degli eventi più seguiti a livello nazionale, una settimana non solo guardata da milioni di persone, ma addirittura partecipata. Sanremo è un palco e in fondo un palco è sempre un luogo per mostrare, esibire, un luogo per esistere e ammettere al mondo che in quel preciso momento si è lì e lì si è coscienziosamente. Ci sono modi e modi di stare sui palchi, ma come insegna la storia che sia in modo esplicito, consapevole, gentile o prepotente la forza di un palco da lì parte, ma lì sicuramente non finisce.
Un palco come Sanremo poi, in un paese come l’Italia, è un palco che parla di musica, ma non è sicuramente solo quello. Lo dimostra il numero delle sue edizioni, il suo durevole successo. Lo dimostrano le presenze che riempiono gli spazi tra una canzone e l’altra, i personaggi invitati, le conduttrici scelte e gli spazi di realtà che portano sul palco attraverso i loro monologhi riguardanti razzismo, disabilità, omofobia. Lo dimostrano le sedie della platea e le personalità che ospitano, gli articoli d’opinione che accompagnano la settimana. È un palco che per una settimana apre uno squarcio su una realtà, non riesce purtroppo a rappresentarla tutta, ma ci prova e a volte ci riesce, altre meno.
Ce la si prende sempre con il modo che ha la politica di insinuarsi in ogni ambito. Più andiamo avanti più ci rendiamo conto che le nostre azioni, i nostri pensieri, i nostri passi devono avere per forza qualcosa di politico, altrimenti rimangono sterili, fermi, chiusi. Avere una connotazione politica significa essere consapevoli che quello che siamo e facciamo va oltre a noi e dà un significato al tempo e al momento che viviamo, irradia la contemporaneità e ci rende proprio per questo contemporanei, figli del nostro tempo. Allo stesso modo attribuire agli eventi un connotato esagerato, ricercare un significato oltre a quello che semplicemente rappresentano risulta eccessivo, risulta stonato. Politicizzare ogni evento in modo fine a sé stesso lo rovina invece di dargli un senso. Le dietrologie legate alla politica non fanno mai bene.
Quest’anno i concorrenti, e soprattutto i vincitori, se le sono un po’ scrollate dalle spalle tutte queste ricerche esasperate di significato per lasciare sul palco l’unica cosa che davvero conta in un contesto del genere: la bravura e il talento. Ha vinto la canzone, ha vinto il talento di Mahmood e Blanco, due giovani interpreti. Come ha detto Gino Castaldo “Un uomo ha cantato a un altro uomo. Non era mai successo ed è bello che sia accaduto”. È vero, è bello. Ma è ancora più bello non guardare a quello. Davanti al talento nulla conta, le battaglie, le condizioni, chi si è, tutto svanisce.
Nessuno dimentica che siamo nel 2022, in un paese come l’Italia, che ha alle spalle recenti vittorie, ma altrettante sconfitte in campo di politica e di umanità. Nessuno dimentica l’urgenza che sente di gridare al mondo che l’Italia è questo, un palco dove gli uomini sono amici, dove i vecchi modelli sono un ricordo e l’uguaglianza è davvero possibile. Ma il modo migliore per farlo è proprio dimenticarsi di tutto questo. Ha vinto la canzone, come deve essere in un festival di musica. Ha vinto il talento di questi ragazzi, sul palco non c’era altro che quello. Tutte le dietrologie scompaiono e rimane solo la bravura. Vince questo.
Un’altra novità di quest’anno è stata il Fantasanremo, una competizione parallela partita da un bar marchigiano che, seguendo il meccanismo del famoso Fantacalcio, ha riproposto il gioco adattandolo al Festival dei cantanti. Ha avuto una partecipazione incredibile, una cosa come 500 mila squadre partecipanti. La sfida prevedeva una serie di punti ottenibili oltre che dalla classifica anche da comportamenti e azioni degli stessi cantanti sul palco. Partecipare al gioco voleva dire mettersi tutti sullo stesso piano, spettatori e attori, essere sul palco tutti dalla stessa parte. Voleva dire prendere le parti, tifare, fare cose improponibili. Ma farlo insieme. Ha ragione quindi Amadeus ad essere contento della partecipazione dei giovani, è riuscito nell’intento di svecchiare un festival che da palco del passato è tornato ad essere palco dell’attuale, palco conteso, e a far vincere una musica nuova.