Non domandarci la formula che mondi possa aprirti/ sì qualche storta sillaba […]
Se si pensa alla “poesia” come sostantivo generico si finisce quasi sempre per collegarlo a qualcosa di elitario e in qualche modo tecnico o di difficile comprensione. Ebbene, non è del tutto sbagliato: in fondo la poesia, come tutte le arti ha un certo tipo di struttura e prevede determinate regole metriche. Tuttavia, quando si pensa al concetto in maniera più astratta ecco che il pensiero si allarga e inizia a inglobare altri ambiti.
Complice la scuola “poesia” diventa sinonimo di “figure retoriche” e “parafrasi”, con il panico generale che ne consegue. È un modo rigido e, oserei dire, arido di intenderla.
La poesia non è solo questo: essa dovrebbe essere un modo per empatizzare e cercare di capire cosa vuole dirci chi l’ha composta e di conseguenza immedesimarci in quegli accostamenti ritmici e armoniosi. Dovrebbe diventare lo strumento per eccellenza dell’espressione di un dissenso, di un disagio, di un pensiero controcorrente e così via. Insomma, qualcosa di intimo, che scavi nel profondo e allo stesso tempo reazionario.
Certo, non sempre riesce ad addentrarsi nell’abisso dell’animo umano e più volte i poeti hanno reso il loro dissenso scrivendo di non poter utilizzare la poesia come mero strumento utilitaristico. Montale scriveva:
Non chiederci la parola che squadri da ogni lato
l’animo nostro informe, e a lettere di fuoco
lo dichiari e risplenda come un croco
perduto in mezzo a un polveroso prato […][…] Non domandarci la formula che mondi possa aprirti,
sì qualche storta sillaba e secca come un ramo.
Codesto solo oggi possiamo dirti,
ciò che non siamo, ciò che non vogliamo.
Non chiederci la parola che squadri da ogni lato/ l’animo nostro informe […]
Con queste parole sottolineava l’impossibilità di utilizzare la poesia come un contenitore che incapsuli la nostra anima e che la descriva per filo e per segno. La poesia non ha la formula che possa essere la soluzione a tutto, perché ciò che può dirti (o meglio, ciò che i poeti possono esprimere) è solo ciò che non siamo e che non vogliamo.
Tornando alla domanda -volutamente provocatoria-, la poesia ha sempre cambiato i suoi ambiti di diffusione: pensando alla poesia antica, essa era prettamente simposiale o composta per celebrare elogi, successivamente, pensando in particolare alla poesia duecentesca e a quella rinascimentale, ha assunto e mantenuto il carattere corale, in parte individuale e di commissione.
Date tutte queste premesse, dov’è finita la poesia oggi?
La risposta è più articolata e dobbiamo fare un piccolo passo indietro. La rigidità scolastica a cui è stata sottoposta (e a cui lo è tuttora) ha creato una risposta forte e decisiva: non più una poesia al servizio delle strutture aride e conservatoria delle istituzioni, bensì una versificazione che denunciava ed evidenziava i cambiamenti – positivi e negativi – che il mondo stava affrontando. E questo tipo di poesia contro “il sistema” la si ritrova, indovina indovina, nella musica! Ebbene sì: la musica come mezzo – poetico – per esprimere un dissenso o affrontare tematiche particolarmente attuali.
Troppo spesso releghiamo la poesia alla produzione libresca ed editoriale da parte di un certo tipo di intellettuali, e invece essa è presente in ogni ambito letterario: dall’arte alla musica. I testi musicali – sicuramente andranno fatte delle eccezioni, come in qualsiasi altro ambito – sono poesia. L’accostamento armonico, melodico, ritmico delle parole alla musica è un connubio esistito da sempre (poco sopra menzionavo la poesia greca e latina) che comporta una precisa abilità versificatoria. Il ritmo incalzante e conciso di certe canzoni di De André – tra l’altro, molte delle quali di precisa ispirazione poetica a partire da Pavese e da Masters – crea un prodotto sublime che scava nel profondo dell’animo umano, spesso ironico e che fa riflettere.
Intellettuali d’oggi, idioti di domani […]
Basti pensare all’album Storia di un impiegato in cui il filo conduttore è il cambiamento della società e il conseguente individualismo del Bombarolo che preferisce “fare da sé senza lezione” e creare un “ordigno” da scagliare (sbagliando) al Parlamento “aspettando l’esplosione che provasse il suo talento”; in più è diverso da tutti gli altri perché non è come gli “intellettuali d’oggi, idioti di domani”, cioè agisce senza “ammalarsi di terrore” e “studiando” da solo: “ho scelto un’altra scuola, son Bombarolo”.
Arrivando alla risposta effettiva alla domanda: la poesia ha continuato a insinuarsi laddove necessitava di scavare solchi profondi e così oggi la si trova sui social. Trovandosi su internet ha creato un fenomeno molto interessante: ha diffuso la poesia e ha fatto in modo che chiunque la sperimentasse, senza preconcetti astrusi ed elitari. Insomma, ha fatto sì che la si (ri)apprezzasse. I social sono quindi diventati terreno fertile per la nascita di due fenomeni indissolubili: da un lato la sperimentazione artistica, dall’altro la critica costruttiva di poesie (e qui ribadisco che in questa categoria risiedono anche le canzoni) e i conseguenti ragionamenti, apprezzamenti o dissensi in merito.
Dove si trova la poesia oggi?
Ci sono pagine su pagine che trattano di poesia e portano avanti tramite la condivisione con gli utenti migliaia di contenuti in merito: basti pensare a La setta dei poeti estinti (giusto per citarne una esemplificativa, ma ce ne sono tantissime altre. Un esempio è infatti quello di Elegianar, una bellissima pagina poetica portata avanti da Alice Russo, divulgatrice e studentessa universitaria) fondata da Maura Sabia ed Emilio Fabio Torsello che portano avanti uno straordinario lavoro di divulgazione. Con oltre 190 mila followers supportano il progetto di cultura e arte sui social, in modo che chiunque possa apprezzare poesie straordinarie, alcune delle quali scritte proprio da loro due. Oltretutto, il loro nome viene preso dal film L’attimo fuggente, il cui titolo originario è proprio Dead poets society.
Tale capolavoro cinematografico calza a pennello con il discorso più volte ribadito nel corso dell’articolo: la poesia non dovrebbe essere qualcosa di meccanico da seguire rigidamente, bensì, come disse il Professor John Keating:
“We don’t read and write poetry because it’s cute. We read and write poetry because we are member of the human race. And the human race is filled with passion; and medicine, law, business, engineering, there are noble pursuits and necessary to sustain life. But poetry, beauty, romance, love, there are what we stay alive for […]”