Può un velo bianco cambiare la storia di un paese ?
Il bianco è il colore della luce, simboleggia il principio della fase vitale; è fiducia nel genere umano, fiducia nel futuro. Può allora un semplicissimo candido hijab bianco aprire la porta verso il nuovo?
In Iran si augurano di sì, da quando, una giovane donna tra le strade del paese sventola il suo velo per chiedere più diritti per le sue concittadine. La giovane, aderente al gruppo facebook “My stealthy Freedom” che lotta per i diritti delle donne iraniane, è stata arrestata il 27 dicembre per il suo gesto eversivo, nonostante la settimana scorsa il regime teocratico avesse eliminato la pena dell’arresto per chi gira senza hijab. Comunque, l’arresto non ha fermato la forza della protesta: dopo di lei, un’altra giovane ha sventolato fiera il suo velo chiedendo la possibilità per ciascuna donna di scegliere come vivere la propria fede.
Il velo bianco della ragazza è, ormai, diventato simbolo delle proteste che stanno scuotendo in questi giorni l’Iran; sempre più persone, infatti, stanno manifestando il proprio dissenso contro il governo del presidente Rouhani e contro la guida spirituale del paese, l’ayatollah Khamenei.

Ma le radici della protesta derivano da una commistione di elementi sociali e politico-economici. Non è un caso, infatti, che le proteste non siano sorte nella capitale, a Teheran, bensì nelle piccole città e siano portate avanti da appartenenti alle classi più povere che maggiormente risentono della fragilissima economia dell’Iran.
Tra i motivi che hanno spinto il popolo iraniano ad alzare la testa, il principale è proprio la crisi economica che si sta abbattendo sullo stato iraniano: sintomo della crisi sono il caro vita che sta determinando un’inflazione del 50% sui prodotti di prima necessità e una disoccupazione giovanile del 40%. Accanto a queste ragioni di natura economica, si accompagna il malcontento per la corruzione dilagante nel paese e soprattutto per le restrizioni di stampo religioso che il governo teocratico impone ai cittadini.
Il bersaglio delle proteste sono i protagonisti di questa forma “duale” di stato in cui accanto al Presidente (Rouhani) eletto democraticamente vi è l’Ayatollah, anche detto Guida Suprema, (Khamenei), la guida spirituale dello stato teocratico: questa è l’eredità della rivoluzione che nel 1979 ha dato vita alla Repubblica Islamica dell’Iran. Sotto il controllo di Khamenei e a lui massimamente fedeli vi sono i cd. “Guardiani della Rivoluzione” (Pasdaran, in persiano), accusati di sperperare le risorse del paese a proprio piacimento, senza curarsi del governo e degli organi istituzionali.
Ciò che il popolo reclama sono i continui finanziamenti che il governo e i Guardiani elargiscono a regimi come quello di Assad, alle forze jihadiste di Gaza, agli sciiti del Bahrein e via dicendo.
L’eco delle proteste è giunto a noi occidentali solo perché il governo iraniano sta usando la violenza per reprimere la rivolta. Dal 27 dicembre, data dell’inizio, di questa “primavera” anticipata sono già state arrestate circa 3700 persone, di cui il 90% sono giovani con una età media di 25 anni, e si contano 21 morti. Ma, il bilancio di arresti e uccisioni aumenta ogni giorno.
Come tutte le recenti primavere arabe, le rivolte nascono e si diffondono su Internet. Per questo morivo, il governo ha prontamente bloccato social networks come Instagram e Telegram, canali prioritari su cui viaggia l’animus della rivolta e su cui sono stati diffusi foto, video e informazioni inerenti alle manifestazioni. Sulle piattaforme social circolano numerosissimi video di cittadini comuni che bruciano documenti legati al regime, bollette e chiedono la fine della corruzione dilagante nel paese.
Ciò che preoccupa sono proprio i modi violenti con cui lo Stato sta gestendo la crisi, considerando che non è improbabile che le forze manifestanti rispondano alla violenza con altro sangue. Inoltre molte delle persone arrestate saranno probabilmente accusate di guerra contro Dio, crimine che in Iran oggi costa la pena di morte.
Pronti gli interventi delle istituzioni occidentali dalla Mogherini a Macron, da Trump fino ad arrivare in Oriente, in Turchia con Erdogan e in Israele con Netanyahu: tutti preoccupati per quelli che possono essere gli sviluppi (sicuramente rilevanti) di questa nuova protesta che anima il paese.
L’apprensione maggiore nasce proprio sul fonte americano: Trump, che non ha mancato di manifestare il proprio sostegno ai manifestanti, potrebbe far saltare l’accordo sul nucleare siglato dall’amministrazione Obama con il governo iraniano.
Secondo il governo iraniano, le violenze scatenate negli ultimi giorni sono state alimentate da forze terroristiche e dalle intelligence straniere; si è parlato di lusinghe americane e proprio il presidente USA ha confermato tutto il suo appoggio per le forze rivoluzionarie. In risposta il governo iraniano ha messo al bando l’insegnamento della lingua inglese nelle scuole primarie, per impedire “una invasione culturale” dell’Occidente.
Sembra che il contrasto, mai sopito, tra Oriente e Occidente sia destinato ad aprirsi nuovamente in Iran.
Non si è fatta attendere neanche la risposta dei sostenitori del regime, che sono scesi in piazza con immagini del presidente Rouhani e della Guida Suprema, Khomenei. Il regime si è riorganizzato in fretta e dal Ministero dell’Interno iraniano il capo dei Pasdaran, Ali Jafari ha annunciato che la rivolta è stata sconfitta. Il comandante ha rilasciato dichiarazioni pesanti in merito a coloro che hanno fomentato i facinorosi. Secondo il capo dei Guardiani della Rivoluzione, a innalzare le proteste sarebbe stato proprio l’ex presidente Mahmoud Ahmadinejad assieme ai Mojaheddin del Popolo Iraniano, forze tradizionalmente di opposizione alla Repubblica Islamica. In questi giorni, infatti, è arrivata da diverse emittenti la notizia per cui Ahmadinejad sarebbe stato arrestato e obbligato agli arresti domiciliari; ma mancano ancora conferme ufficiali.

Ma, ciò che sorprende maggiormente è la diversità di questa nuova protesta rispetto alle rivoluzioni del 1979 e del 2009. Infatti, la nuova rivolta nasce dai piccoli centri abitati, piccoli villaggi di campagna dove il regime islamico ha sempre goduto del pieno favore. In queste piccole città le istanze di apertura sono quasi totalmente assenti. Eppure il vento sta cambiando.
Inoltre, a differenza della rivolta del 2009, guidata dai riformisti più aperti a stili di vita più liberali e occidentale, oggi i manifestanti non cercano sostegno da nessun partito politico (e dire che in Iran sono circa 250 partiti). Questo è un chiaro segno che indica che il malcontento è rivolto verso l’intero establishment iraniano: i manifestanti si collocano al di fuori del sistema perche è tutto il sistema che deve essere modificato.
Un nuovo vento si sta alzando in Iran e ha tutta l’aria di una tempesta. Ma il regime può intervenire in qualunque momento e di certo non si farà scrupoli nell’utilizzo della violenza. Sembrano minime le speranze per i manifestanti, soprattutto a causa dell’assenza di un leader o di organizzazioni che guidino la rivolta: tutto sembra diretto a dissolversi; ma una volta che la voce del popolo si alza, è dura a sedarla.
Difficile dire quali saranno i seguiti di questo vento invernale; che sia l’inizio di una nuova primavera araba?