Ritorno alla routine dei cinque giorni su sette
Diciannove settembre duemiladiciannove: oggi piove, come in autunno. A Torino i pantaloni hanno iniziato ad allungarsi fino alle caviglie, i mezzi a riempirsi a dismisura e gli studenti a lamentarsi. Dei compiti. Che sono già troppi. La nostalgica fase del “che bello tornare, rivedo i miei compagni” infatti non dura mai troppo. Giusto il primo periodo nel quale il fatto di essere tornati alla solita routine di sempre non è ancora sfociato nella monotonia. Infatti a volte, anche se si è in vacanza, può capitare di sentire la mancanza della routine. Del solito “tran-tran”. Tran tran che però, soprattutto nei momenti in cui è vissuto, spesso viene citato accompagnato da smorfie e sbuffi di chi è stufo e vorrebbe tornarsene in vacanza. “Mi servirebbero ferie da sei mesi due volte l’anno”, disse il saggio.
Diciotto ottobre duemiladiciannove: oggi è uggioso, e da quasi un mese è autunno per davvero. Il gelo delle sette del mattino si fa sentire, ed i più freddolosi hanno tirato le giacche fuori dagli armadi. Anche le lezioni all’università sono ormai iniziate da un po’ e c’è già chi si preoccupa degli esami. Come sarebbe bello poter rompere la propria routine. Il week end serve anche a questo, ma il sabato e la domenica sembrano sempre volare. Soprattutto per chi il sabato va a scuola o lavora.
L’importanza e la frenesia della routine
Tuttavia, per quanto stressante possa essere la routine dei giorni lavorativi, essa aiuta ad essere efficienti nella scuola, nel lavoro e nella vita. Abbiamo bisogno di buone abitudini a cui aggrapparci in modo da non dover ogni volta perdere tempo ad inventarci nuovi modi per fare le cose che ci servono e che ci fanno stare bene. Esse sono una sorta di pilota automatico della nostra quotidianità, alla base della routine.
La routine infatti, la vita di sempre, di tutti i giorni, è una sicurezza a cui aggrapparsi. Si può immaginare lo stress di una vita in vacanza, sempre a programmare voli, hotel, spostamenti, fare e disfare le valigie. Sembrerebbe ironico, ma diventerebbe un lavoro pure quello. A meno che non si decida di vivere da sedentari sulla sedia a sdraio della propria casa al mare. Ma a quel punto, tornerebbe ad essere una vita di routine.
Insomma le routine ci servono – anche se la ripetitività ci annoia e lo stare in continuo movimento può stancare. Come quando in estate ci lamentiamo del caldo ed in inverno ci lamentiamo del freddo: iniziamo a voler essere sempre più avanti del tempo, per arrivare subito a ciò che arriverà dopo, immaginandolo come migliore.
Se a questo punto dell’articolo qualcuno si aspetta di leggere la soluzione ai problemi termostatici di una grossa fetta di umanità, mi dispiace, ma penso rimarrà deluso. Per la mente umana il caldo sarà sempre troppo caldo ed il freddo troppo freddo. Non c’è rimedio. Esistono però le mezze stagioni. Per contrastare lo stress e la frenesia della vita di tutti i giorni invece, basta buttare gli occhi al cielo e guardare le nuvole.
Il Cloudwatching
Gavin Pretor-Pinney, uno scrittore inglese che nelle sue opere combina scienza con l’apprezzamento dei fenomeni naturali, nel 2004 fondò la Cloud Appreciation Society. Per chi non avesse mai sentito parlare di cloudwatchig, lo scopo della società è proprio quello: ispirare la gente nella futile opera di guardare le nuvole. Guardare le nuvole: questo è il cloudwatching.
Secondo il fondatore infatti le nuvole godono spesso di una reputazione negativa: I poeti le hanno associate a sentimenti cupi, di confusione, di tormento e tristezza – basta pensare a Vasco e le sue “Dannate Nuvole”; Mentre la maggior parte delle volte le persone si accorgono di esse solo nel momento in cui “si mettono davanti al sole” nelle giornate uggiose. Un po’ come la nuvola di Fantozzi, un classico.
Una fama tuttavia ingiusta, a scapito di tutte le qualità positive che le nuvole possiedono. Chi da bambino, almeno una volta, buttando lo sguardo al cielo non ha esclamato: “Ma quella nuvola sembra un gatto!”. E per chi non avesse mai visto nessun gatto, va benissimo qualsiasi altra cosa abbiate immaginato.
Vivere nel presente
Immaginare, questo è proprio il punto: Quand’è stata l’ultima volta hai guardato il cielo e hai cercato di vedere qualcosa? Quand’è stata l’ultima volta che ti sei fermato a guardare l’orizzonte senza preoccuparti assolutamente di nient’altro se non che ciò che avevi davanti? Forse in vacanza momenti così sono meno rari, ma nella vita di tutti i giorni probabilmente in pochi si fermano qualche istante a guardare le nuvole. O meglio, in pochi si fermano.
Viviamo infatti in un contesto storico nel quale l’ozio non è contemplato; Il sano “non far niente”. Duemila anni fa Seneca nel suo “De Brevitate Vitae” definì “occupati” coloro che correndo sempre dietro a qualcosa, senza riflettere sul presente, sprecano il loro tempo senza accorgersi del suo fuggire. E oggi, tra social media, notifiche, globalizzazione e notizie da tutto il mondo non facciamo altro che essere sempre più occupati e bombardati da notifiche. C’è sempre qualcosa da fare, qualcosa su cui aggiornarsi, qualcuno a cui scrivere. E spesso manca il tempo per fermarsi, per vivere il momento presente, senza correre con i pensieri altrove.
Non preoccuparsi più di ciò che si è fatto e di ciò che si farà: Una bella sensazione, no? Le nuvole sono lì proprio per questo, per ricordarci che fermarsi va bene, anzi vivere nel qui ed ora è meglio. Aiuta a mettere tutto in prospettiva, come una sorta di meditazione, senza venire travolti dallo stress della quotidianità.
Le nuvole sono a disposizione di tutti; Basta rivolgere lo sguardo al cielo, per ricordare la sua immensità e la piccolezza delle nostre preoccupazioni. Non c’è bisogno di aspettare le vacanze o il week end per ricaricare le pile. Il cielo infatti è sempre lì, e sempre lì sarà. Questa è l’unica certezza che abbiamo.