Prima o poi qualcuno di noi immigrati verrà ammazzato, e allora ci si accorgerà che esistiamo.
Sono parole forti. Pronunciate durante un’intervista da un immigrato, Jerry Masslo, più famoso degli altri, ma la fama tocca gli immigrati quasi sempre a causa della loro morte. Come racconta Roberto Saviano, nel suo intervento a DiMartedì, fu assassinato per non aver voluto consegnare a un gruppo di assalitori la paga appena ricevuta. Il telegiornale ce li presenta come ladri, spesso violenti e criminali, oppure morti sui gommoni. E le notizie positive dove sono? Vogliamo davvero credere che non esistano? Che solo gli Italiani siano in grado di eccellere negli studi o nel lavoro, di compiere atti umanitari o meritevoli per lo stato?
Sembra che i media stiano manipolando lentamente l’opinione pubblica, senza ricorrere ad atti eclatanti: si limitano a sottolineare alcune notizie e a sorvolare su altre. E che cosa dire dell’esigenza maniacale che si manifesta nell’esplicitare l’origine di queste persone?
“Senegalese arrestato con l’accusa di aver violentato donna di 75 anni”. Nel caso in cui il colpevole sia un italiano allora il focus è ben diverso: “Carabiniere spara alla moglie, poi uccide le figlie e si toglie la vita”. Non importa da dove provenga, importa ciò che ha fatto, nel bene come nel male.
Nel Medioevo, nei momenti di crisi, si cercava di riportare l’ordine individuando un capro espiatorio e dirottando su questo la violenza e la paura delle persone, in modo tale che perdessero di vista il vero problema e combattessero giganteschi mulini a vento creati appositamente. Nel 2018 non ci sono più le streghe ma ci sono gli immigrati, sulle cui spalle pesa la colpa della crisi italiana.
Sono venuti dalle loro terre a rubarci il lavoro e lo Stato spende soldi per loro quando potrebbe aiutare le moltissime famiglie italiane in crisi. Le cose, però, non stanno esattamente in questa maniera: l’Europa ha stanziato 800 milioni di euro, in sei anni, per la gestione del flusso dei rifugiati. I 5 miliardi spesi dall’Italia per il controllo delle frontiere, per il soccorso in mare, per l’accoglienza e l’istruzione di queste persone sono stati esentati dall’apparire nel nostro bilancio. Sono soldi fantasma, che possono essere destinati soltanto a fine umanitario, altrimenti non utilizzabili.
Il primo mulino è crollato: i barconi non fanno affondare l’Italia e gli Italiani, soltanto povera gente che fugge da condizioni di vita terribili. Gli immigrati poi sono enormi flussi di energia, hanno sete di diritti e di cambiamento e, soprattutto, si dedicano a lavori, spesso umili e faticosi, che gli Italiani non vogliono più fare. Non rubano impieghi, riempiono i buchi lasciati da noi. E allora anche l’altro mulino è distrutto.
Eppure soltanto in questi giorni 629 persone sono costrette in mare, ad aspettare indicazioni sul loro destino, minacciando di buttarsi in mare pur di non tornare da dove stavano fuggendo. Lo Stato ha chiuso i porti, ha respinto linfa vitale per un razzismo e per una ristrettezza di vedute diffusi sia nelle basse che nelle alte sfere. L’Italia si è dimenticata che durante il secolo scorso i suoi avi hanno solcato l’Oceano desiderando una nuova vita e nuove occasioni. Loro non fuggivano da torture e guerre, erano pionieri in cerca di fortuna, e non sono stati respinti.
È assurdo che l’unica entità che sta traendo profitto da questa situazione sia la criminalità organizzata: riempie i vuoti lasciati dallo Stato, si occupa di partenza, accoglienza e offerta di lavoro. È davvero questa la realtà che meritano quelle persone sfuggite ai viaggi della morte? Meritano di trovare un porto sicuro e una nuova vita. Si ritrovano invece abbandonati al loro destino, prede troppo facili per un cacciatore esperto e malintenzionato.
629 persone potevano morire, 40 sono state salvate dal loro gommone che stava affondando al buio, senza che i soccorritori potessero servirsi di altri mezzi se non le voci che chiedevano aiuto. 629 persone potevano morire, ma il loro destino ha lasciato i più indifferenti. E l’Italia ha chiuso i porti.