Diventare, anche se forse sarebbe più appropriato utilizzare il termine “scoprirsi”, femminista è una di quelle scelte così naturali e al tempo stesso rivoluzionarie da condizionare ogni aspetto della propria esistenza successiva a tale decisione.
Una scelta inevitabile quando si hanno a cuore determinati principi o che comunque varrebbe la pena prendere anche solo per una questione di “buon senso”.
Eppure il femminismo si porta dietro un bagaglio così pesante di pregiudizi difficili da scardinare forse anche per quell’innata repulsione umana per i tanti “ismi” che costellano la nostra società e che quasi mai hanno significato positivo.
Si attribuisce un appellativo in “ismo” per denigrare e declassare, per sminuire e avvilire il lavoro altrui ed è infatti quasi sempre affibbiato da chi è esterno a un determinato movimento, le correnti artistiche tra Otto e Novecento sono ricche di esempi di questo tipo.
Scegliere quell’”ismo” attribuito con tanto disprezzo, farlo proprio e riconoscerlo lancia un messaggio forte: ti sto infastidendo così tanto che non riesci nemmeno a ignorarmi.
Il femminismo è fatto della stessa sostanza: essere femminista vuol dire non poter più fare scelte di comodo, significa mettere a disagio il proprio interlocutore con questioni spinose, non poter più chiudere gli occhi e rimanere in silenzio.
Scoprirsi femminista vuol dire anche riconoscere i propri privilegi e metterli a disposizione di chi non ha gli stessi mezzi, significa vedere le cose da una prospettiva completamente rinnovata e con occhio molto più critico e meno passivo rispetto al passato e capire quanto problematiche diverse alla fine siano strettamente connesse perché generate dalla stessa radice patriarcale.
Nessuna lotta potrà mai essere davvero femminista se non è inclusiva, intersezionale e ambientalista: non ci può essere femminismo che scardina sessismo e maschilismo senza una pari forza nella lotta contro razzismo, omofobia, transfobia, abilismo e grassofobia.
Essere femminista è una scelta che si fa ogni giorno e che non si può abbandonare alla minima difficoltà: abbracciare questo movimento implica inevitabilmente un percorso tortuoso fatto anche e soprattutto di momenti di profondo sconforto. Sconforto che nasce sia dal riconoscere la nostra personale difficoltà ad abbandonare determinati pregiudizi sociali con i quali siamo stati cresciuti sia dal coinvolgimento anche emotivo che scaturisce di fronte a violenze di vario genere.
È difficile rimanere distaccati davanti a tutte quelle discriminazioni che quotidianamente continuano a consumarsi in realtà che si professano democratiche e progredite. Diventa pressoché impossibile quando gli stessi canali e mezzi di informazione che ci raccontano quelle discriminazioni diventano essi stessi complici di una narrazione stereotipata e che svia dalla reale motivazione dietro quelle violenze.
La morte a sfondo razzista e fascista di Willy Monteiro Duarte in una notte di fine estate a Colleferro non può diventare una polemica sul reddito di cittadinanza percepito dai suoi assassini.
L’ultima corsa in motorino di Maria Paola per le strade di Caivano, brutalmente interrotta da quella che dovrebbe essere una figura amorevole quale è un fratello, non può trasformarsi in un ulteriore momento di dolore per Ciro, il suo fidanzato, nel vedersi descritto con i pronomi di un’identità di genere che non gli corrisponde.
La candidatura al Comune di Segrate di Francesca Maiorano non può essere raccontata secondo quella narrazione abilista per la quale le persone disabili non possono dare nessun contributo alla società e la cui unica capacità è provocare pietà come ha cercato di fare Paolo Ardrizzi, presidente della Confcommercio locale ed ex consigliere comunale a sua volta.
L’ennesimo caso di stupro giunto presso la Corte di Appello di Milano non può corrispondere a una pena scontata per l’aggressore che è arrivato a compiere una tale atrocità in quanto “esasperato” dal comportamento “troppo disinvolto” della convivente, attribuendo la responsabilità e la colpa di quanto accaduto alla donna vittima di violenza.
Cominciamo a chiederci se ci sia o meno un reale problema relativo alla mancanza di figure femminili in posizioni di potere, se sia normale non trovare donne all’interno delle commissioni parlamentari, se sia possibile non chiamare nessuna relatrice a eventi culturali e festival come quello recentemente conclusosi a Verona.
Eppure sarebbe sbagliato affermare che le donne vengono sistematicamente ignorate, al contrario:
“Per le ragazze ci si preoccupa tantissimo: ci si preoccupa di cosa indossano, di come parlano, di cosa mangiano, di chi frequentano, ci si preoccupa di dire loro che devono stare attente, che non devono uscire la notte da sole, che devono scegliere con cura le persone da frequentare. Intorno alle ragazze si costruisce un muro solidissimo di piccole e grandi limitazioni della libertà personale perché là fuori è un brutto mondo. L’unica cosa di cui non ci si preoccupa è fare in modo che i ragazzi non siano il brutto mondo delle ragazze”
come ha affermato Giulia Blasi, giornalista e autrice del libro “Manuale per ragazze rivoluzionarie”, durante il suo Ted svoltosi a Vicenza nel 2019.
Il femminismo non cerca un colpevole a cui attribuire tutti i mali della nostra società e soprattutto non lo identifica, contrariamente al pensare comune, nel genere maschile: anche gli uomini possono e devono beneficiare di una realtà femminista che lotta per scardinare la mascolinità tossica che li opprime fin dall’infanzia con tutta una serie di pretese, prima fra tutte la celebre e ridicola “I veri uomini non piangono e non esternano sentimenti”.
Ma per fare ciò dobbiamo collaborare e unire i nostri sforzi in una comune lotta: il femminismo è proprio questo, moltiplicazione ed espansione di forze propositive, desiderio e anelito di cambiamento, volontà di educare ed educarsi a un modo diverso di vedere le cose.
In breve, quanto detto dalla scrittrice nigeriana Chimamanda Ngozi Adichie durante il suo illuminante discorso “Dovremmo essere tutti femministi” nel 2012:
“Io vorrei che tutti cominciassimo a sognare e progettare un mondo diverso. Un mondo più giusto. Un mondo di uomini e donne più felici e più fedeli a sé stessi. Ecco da dove cominciare: dobbiamo cambiare quello che insegniamo alle nostre figlie. Dobbiamo cambiare anche quello che insegniamo ai nostri figli”.